La mamma progressista

Eh no, non è una fenomenologia. Potrebbe essere, per carità. Ma a parte che oggi non è lunedì, poi qui si parla di altro. Si parla della MIA mamma. Già, perché in fondo pure noi siamo nate da qualcuno. E anche noi siamo state come quegli esseri agitati e bavosi che ci piangono attaccati alle sottane. 

Mia mamma – ma non mi dilungherò su questo – è nata in un paesino sperduto della costa toscana. Ultima di sette figli, era poverissima. Ma povera povera povera, credetemi. E’ cresciuta come una persona semplice, ma dotata di una grande sensibilità, contrariamente a quanto si sarebbe potuto immaginare. Sinceramente, non so se sia merito della sua migrazione, appena adolescente, in casa di mio padre. O semplicemente della sua infanzia. O dei miei nonni. Chissà.


Ad ogni modo, mia mamma è una vera progressista. Quando ero bambina, lei mi mandava ovunque. O almeno, avrebbe voluto. Io un po’ meno. L’Inghilterra a dodici anni mi sembrava tanto lontana. Quando a 14 anni mi sono fatta il piercing all’ombelico, il suo commento è stato: fammi subito vedere, ganzo! E, quando avevo sei anni, ho passato diversi pomeriggi in accampamenti cinesi. 

Sì sì, accampamenti.

Era la fine degli anni Ottanta e i primi cinesi arrivavano nella mia città. In classe con me ce n’era una. Diventammo amiche, non so se perché a mia mamma piaceva che stessi con una straniera o perché ci piacevamo davvero, forse un po’ tutte e due. Insomma, lei abitava con la sua famiglia e altre famiglie in un appartamento di poche stanze. Ricordo ancora i cartoni per terra, le taglia e cuci, i materassi, le uova nere e gli asciugamani umidi. 

Poi sì, siamo diventate davvero amiche. Mia mamma l’aveva presa come una specie di missione, e si scorazzava me, la mia amica e il fratello di lei, più piccolo di me di un anno, un po’ dappertutto. Ci ha tolto i pidocchi, a tutti e tre. Poi loro hanno cambiato quartiere, scuola, ma noi siamo rimaste amiche. E anche mio padre, tanto diverso da mia mamma, ha iniziato ad occuparsi di loro. Delle loro attività. Ad aiutarli come poteva con le cose pratiche e burocratiche. Insomma, eravamo tutti legati, e quando nel 1992 è nata la sorellina, hanno chiamato noi, per primi, dopo mezz’ora di travaglio. La ricordo ancora. 

Scelsero un nome italiano, dopo che i loro quattro, prima, li aveva scelti mia mamma. “Zia – così la chiamavano, e la chiamano – ci dai dei nomi italiani?”. Non so dove li prese, mia mamma, quei nomi. Però se ne vanta sempre. 

Poi si trasferirono di nuovo, vicino a noi, nella vecchia casa in cui era morto mio nonno paterno, in quella che sarebbe diventata la China Town della mia città. Poi, infine, nel 1998 se ne andarono a Milano, perché lui voleva liberarsi dal padalone e aprire un listolante. Il sogno del capofamiglia sarebbe stato aprire un listolante con pizzelia con pizza fatta da mia mamma, ma questo desiderio non si è mai realizzato. 

La mia amica, mi piacerebbe raccontarvi di lei, non ha mai avuto un fidanzato. Perché, nella loro cultura, trovi uno e ti accasi, punto. E lei non voleva accasarsi a 20 anni, come le sue amiche. Un giorno, due anni fa, mi chiama mia mamma. Me la passa al telefono, era andata a trovarla. “Sono incinta di cinque mesi e mi sposo il 28 luglio”. Con chi? 
Il matrimonio, festeggiato in uno di quei locali all you can eat che vanno di moda ora a Milano, contava 400 invitati, di cui tre italiani. Io, mia mamma e la P1. 

Inconsapevolmente incinta della P2, ho versato tante di quelle lacrime quel giorno, vedendo la mia amica col pancione e l’abito bianco e pensando a quanto avrebbe pianto mio papà, vedendola. 

Guardandomi intorno e mangiando zuppe di serpente, c’era forse da ridere: ve li immaginate 400 cinesi, venuti da tutto il mondo, nella stessa sala? Sapete cos’erano le bomboniere? Dei pacchetti di Marlboro. 
 

E’ veramente così, giuro.

Domenica replico. Io, mia mamma la progressista, mio marito che, dopo la Bielorussia, si becca anche la Cina, le mie figlie che ormai ne hanno viste di tutte, saremo tra i 400 invitati di un altro all you can eat di Milano. Si sposa il fratello. Un cinese bello, dolce e sensibile. 
E sapete qual è la cosa che mi fa più commuovere? Che lui, proprio lui, che quando l’ho conosciuto aveva 5 anni e si faceva ancora la cacca addosso, non faccia altro che ricordare a mia mamma quanto lei sia stata importante e quanto abbia influito nella sua vita, nel diventare uomo, nell’essere ciò che è oggi. 

Anch’io spero di essere questo, per qualcuno. E spero che le mie figlie lo vedano, e che saranno orgogliose, come lo sono io, di avere una mamma progressista, che insegnerà loro l’amore per il diverso, per il nuovo, per lo sconosciuto. 

Perché il diverso aiuta a crescere. Pensateci.

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