Papàkistan – Episodio 1

Ve lo ricordate, no? Mio marito è in Pakistan, e ogni giorno mi manda un racconto di come si vive laggiù. Voglio condividerlo con voi, perché magari possiate parlarne in famiglia, e portare un po’ della mia nella vostra casa.
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Non è così difficile come si possa immaginare riuscire ad essere un buon padre pur vivendo lontano dai propri cari per molti mesi.
E’ quel che sto sperimentando sulla mia pelle, spedito nel Punjab per un progetto di un anno mentre moglie e figlie sono a casa.

Il Pakistan non è un Paese facile, in effetti: il livello di povertà è molto marcato e diffuso, le infrastrutture carenti, i rischi legati alla sicurezza personale onnipresenti.
In particolare non lo è per i locali, persone dotate – nonostante tutto – di una straordinaria voglia di vivere. Nei miei confronti si sono subito dimostrati molto gentili e disponibili, curiosi di conoscere attraverso le mie parole una realtà distante come quella europea e orgogliosi di farmi scoprire la loro cultura, imperniata sull’importanza della famiglia (come in Italia!), sul gusto per la buona cucina (come in Italia!), sul piacere di trascorrere del tempo con gli amici di sempre (come in Italia!). Talvolta, mentre li osservo conversare animatamente, vociando e gesticolando, mi chiedo se siano italiani dalla pelle olivastra (o in alternativa, se noi non siamo pakistani sbiaditi).
Non parlerò di religione, perché non sono abbastanza informato per farlo. Quel che posso certificare, però, è che – a differenza di un certo pensiero comune, diffuso ad occidente – dove lavoro ci sono donne che han scelto di investire nella carriera una parte significativa della loro vita: alcune sono giovani, single e in posizioni junior ma molto determinate ad affermarsi; altre più mature, sposate con figli e titolari di un ruolo di management (nel senso che sono i capi di team composti da diversi uomini). Non è poco, considerando il tasso di disoccupazione ancora molto elevato e le tradizioni molto radicate, che spesso riservano alle ragazze in età da matrimonio un futuro da casalinga. Se non fosse per i diecimila chilometri di distanza e i cinquantenni di sfasamento temporale, direi che si tratta di una situazione simile a quella di una parte dell’Italia nel dopoguerra.

 

Probabilmente, è proprio solo una questione di tempo: il Pakistan è una Nazione “giovane” (fondata nel 1947), travagliata da numerosi dissidi interni e da alcuni problemi con i vicini (l’India soprattutto). Ma è anche una Nazione con delle potenzialità: 185 milioni di abitanti (che probabilmente, mentre leggete queste righe, son diventati 186), un piano di sviluppo in corso di realizzazione (ci vorrà del tempo, però i progetti sembrano andare avanti …), ma soprattutto tanta gente motivata a far bene per la propria terra. Anche chi ha emigrato, spesso lo ha fatto con il preciso intento di migliorarsi per tornare e mettere a frutto la propria esperienza in patria. Proprio come alcuni fra i nostri bisnonni.
Insomma, vivere quest’esperienza mi sta insegnando molte cose nuove, specialmente sul rispetto per gli altri, specialmente per chi sta dando tutto quel che ha.
Come mia moglie. All’inizio del post scrivevo che non è così difficile essere un buon padre a distanza. Non lo, in effetti, è se si ha la fortuna di avere una compagna come la mia, che ha coraggio da vendere e palle d’acciaio, che le permettono di essere nel contempo mamma e papà per le nostre bimbe.
E’ questa un’altra cosa che sto imparando qui: riconoscere ogni giorno la meraviglia che risiede in chi mi sta accanto, pur se fisicamente lontano da me. Nel mio caso, ho riscoperto tutto lo splendore di Anya, una donna eccezionale, cui sarò grato per sempre.
POST SCRIPTUM
Ahsan è tornato dal congedo di paternità una settimana dopo aver avuto la sua prima bimba. E’ nata due sabati fa con un parto cesareo, perché la moglie era giunta al quinto giorno oltre il termine. Come tradizione vuole da questa parti, un mese prima della nascita la mamma è tornata dalla propria famiglia di origine, per farsi aiutare. Ci resterà per tre mesi, fino alla fine del periodo di maternità, mentre il marito farà su e giù nei finesettimana per stare con lei e la piccolina. Già, perché quella di Ahsan e della sua compagna è una classica storia del Pakistan che sta cercando di ammodernarsi: entrambi lavorano e continueranno a farlo; lui è felicissimo di avere avuto una bimba, nonostante il figlio maschio sia ancora considerato un valore (mi ha detto letteralmente che se ne frega, perché pensa che le femminucce siano più dolci con i papà); non ha fatto una piega quando per tutta la settimana scorsa (e nei weekend a venire) ha dovuto occuparsi della pupa tra le 2 e le 7 del mattino, perché “è figlia mia quanto lo è di mia moglie, solo che lei ora ha bisogno di ritrovare le energie. In più, mi fa impazzire tenerla tra le mie braccia, soli io e lei”.
Insomma, la sua è una delle innumerevoli prove – ne sono certo – che questa parte del mondo è fatta di persone con una mentalità tutt’altro che “chiusa”. Per il momento me ne stupisco ancora un poco, al punto da scrivertene. Ma sono sicuro che quando verrà il momento di andarmene da qui non ci farò più caso. In fondo il nostro pianeta è popolato di persone con le stesse capacità, le stesse ambizioni, la stessa voglia di star bene. Ovunque esse si trovino.
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