Educare alla libertà

Ricordo di aver letto, ormai molti anni or sono, un libro intitolato così, Educare alla libertà.

Maria Montessori.
Ricordo vagamente di cosa parlasse, dimentico spesso i libri che leggo.
Ma ricordo benissimo i viaggi in tre bambini nel bagagliaio (!), i bagni in piscina di tre ore almeno, le arrampicate sugli alberi, i giochi con qualsiasi animale, la caccia agli scorpioni, le corse tra gli uliveti da sola. Sono nata e vissuta in città, ma cresciuta in campagna: il più bel regalo che i miei genitori potessero farmi.
Sono stata educata ad essere libera, nel senso più puro del termine. In quello che un bambino si aspetta: educare a esplorare, a sbagliare anche, ma ad imparare, conoscere, scoprire, essere felice.

Delle cose più piccole.

Durante un viaggio noi tre, qualche tempo fa, mi sono imbattuta prima su due neo genitori, che avevano un sacchetto a chiusura ermetica per i ciucci puliti e uno per quelli sporchi.
Poi mi sono ritrovata in una spiaggia fredda e grigia, e loro due, con gli occhi che brillavano per la vista di quel mare tanto sognato per mesi, che chiedevano di poter giocare, sporcarsi, correre, bagnarsi.
Non so fare lavoretti, non ci sono mai all’uscita di scuola, non le riempio di regali.
Ma penso di poter dire con certezza di crescerle libere. Con delle regole, proprio come avevo io che fino a 18 anni non sono uscita la sera, ma a cui è stato sempre concesso di scegliere con la propria testa.
Voglio che sappiano che se ci si sporca, ci si può pulire (e si deve, tra l’altro, da sole). Voglio che sappiano che possono correre nei prati, ma senza alzare i sassi, che magari ci sono le vipere.
Voglio che si sentano libere seppur protette sempre e comunque, ovunque siano.
Non so se sia questo il modo giusto di educarle. Aveva ragione, Maria Montessori?
So solo che un giorno ho chiesto alla P1: cos’è la cosa che ti rende più felice in assoluto?
Che tu ci fai felici, mamma.
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