Ve lo do io il fertility day

Sono passati ormai alcuni giorni dal fertility day. Ognuno ha espresso la sua, tutti hanno trovato la campagna aberrante, hanno proposto soluzioni, puntato il dito e spiegato che, fondamentalmente, prima di consigliarci di fare figli, i nostri governanti dovrebbero metterci nelle condizioni di.
Tutto giustissimo.
Ma non è stata detta la cosa più importante. Che non ha a che fare esattamente coi soldi, anche se un po’ sì. Ma con la pancia e il cuore e i tuffi.

Perché fare un figlio.

La gravidanza spesso fa schifo. Quelle che la passano in totale armonia sono una manciata, a meno che non si considerino armonia i rigurgiti, la sciatica e le caviglie gonfie.
Partorire può far male, malissimo, anche con l’epidurale. Spesso ti squarti in due, non conti i punti e non riesci a camminare per giorni e giorni. Il sesso? Piano piano, molto piano piano.
Restare svegli la notte in preda alle urla di un essere che non hai mai visto prima e che probabilmente ancora non ami è la prova più dura di tutte: dov’è l’interruttore? Come si rimette dov’era, nella pancia? Qualcuno se lo prenderà, in ospedale?
Perché l’ho fatto?
Nel momento in cui diventi genitore vivi con la paura: con la paura che una febbre prolungata significhi qualcosa di brutto, con la paura degli sconosciuti, con la paura della culla, del cibo, della strada, di qualunque cosa potrebbe accadere senza che tu possa fare niente. Ed è una sensazione orribile, vivere sempre con la paura.
Come genitore dovrai prendere tantissime decisioni, dalle più banali, come l’ospedale in cui partorire, a quelle più importanti: che scuola? Dove vivere? Che metodo educativo? Sgridarli o no? Lasciarli liberi o no? Il motorino? L’uscita con le amiche? Che fare se prende un 4? Al nido o con i nonni?

Oltre alla paura, proverai senso di colpa: per non essere abbastanza presente, per non aver voglia di giocare, per non fargli fare abbastanza esperienze, per non avere i soldi per il regalo che vuole.
A volte ripenserai a quando non avevi nessuno ed eri responsabile solo di te stesso. Ripenserai a quando la mattina dormivi fino a tardi, a quando la sera cenavi con una birra e cibo da asporto ordinato alle 23, dopo l’aperitivo con i colleghi. Ripenserai alle maratone notturne di serie tv, ai viaggi zaino in spalla, ai soldi che ti avanzavano a fine mese, quando c’eri solo tu, magari il mutuo, ma nessuna rata del nido, nessun paio di scarpe da comprare, niente. Solo una vita davanti, libera e intatta.
A volte ci ripenso anch’io, sai? E qui viene il punto.
Ripenso a quella vita, avevo qualche anno meno, mi piaceva viaggiare prenotando all’ultimo minuto, fare delle lunghe scampagnate la domenica, dormire fino a tardissimo, bere tanto vino, vedere delle mostre dopo l’ufficio, coccolarmi con degli acquisti.
Perché ho fatto un figlio?
Il perché non lo so. Perché ad un certo punto mi sono sentita bene, avevo tutto, avevo bisogno di vita, di regalarne al mondo. Mi sono detta “cos’è, quest’amore di cui tutti parlano?”. Si dice che fare figli sia da egoisti, sia una scelta solo nostra, che va oltre – per forza di cose – alla loro volontà. E forse sì, l’ho fatto per egoismo: perché sentivo di poter mettere al mondo una creatura, e volevo poterla crescerla e farne un essere straordinario.
Questo volevo: farne un essere straordinario, con le mie mani. Esiste un potere più grande?
E poi è venuto tutto il resto: la gravidanza, il parto, le notti insonni, l’allattamento, le rate del nido e la vita di corsa. È venuta la parte difficile, quella a cui non ero preparata perché nessuno ti prepara, nessuno, per quanto onesto sia, potrà mai dirti esattamente come ti sentirai. Ma ti sentirai perso, e rinchiuso, e… (s)finito.
Poi un giorno guardi quella creatura e ti dici. Le rate del nido passano. Le notti insonni anche. Ma l’amore resta. Quell’amore che non hai mai provato per niente e nessuno, quel mal di pancia costante quando pensi a tuo figlio, le lacrime fisse agli occhi vedendo i suoi progressi, l’orgoglio, la stanchezza che non hai mai provato perché non è come tutte le altre, ti annienta e ti rigenera al tempo stesso.
Ma non è così semplice. Facile dire a qualcuno: fai figli, poi li amerai. Ma le rate del mutuo restano, il nido, la tata, i problemi. Tutto resta e in questo paese resti da solo, tu genitore, a occupartene. Perciò certo, fai figli, come no.
Dei figli non ci si pente, dicono.
Ma a volte di essere genitori sì, se tutto intorno crolla.
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