Non mi abituerò mai agli addii

Da qualche parte l’ho già scritto: sono una di quelle persone che quando lasciano la camera di un hotel si guardano indietro, chiudendo la porta, con un velo di nostalgia. Gli addii non fanno per me, nemmeno quando si tratta di viaggi.
E adesso mi trovo a dire addio ad un posto che mi ha vista vivere per oltre un anno e mezzo.
Quando salii sull’autobus che mi riportava in Italia dopo un semestre ad insegnare all’Università di Minsk, piansi tutte le lacrime che non avevo pianto in 24 anni di vita. Mi lasciavo indietro non solo persone a cui volevo un bene immenso, ma anche una quotidianità che non sarebbe più tornata, “la mia Minsk” che non sarebbe più esistita, la me di quei giorni che non sarebbe più stata la stessa.
Oggi mi ritrovo a dire addio ad un posto in cui non volevo venire, che non ho mai amato e che probabilmente non avrei mai amato nemmeno tra vent’anni, per tornare là dove batte il mio cuore e dove mi sento a casa, eppure no, non è facile per niente dire addio. E lo è ancora meno perché in questo pezzo di vita, in questi mesi e in queste stagioni, in queste albe e in questi tramonti, ho visto crescere le mie figlie. I loro capelli si sono allungati, le loro gambe si sono allungate, il loro vocabolario è triplicato, i loro occhi si sono riempiti di infinite sfumature che prima non avevano mai conosciuto. Non è facile sapere che quei raggi di sole che illuminano le tue pareti non ci saranno più a dare il buongiorno ai loro sorrisi, che non sentirai più parlare di G. e di L., che non porteranno più quelle magliette con il logo del liceo francese di Panama, che i nostri riti scompariranno per sempre, per fare spazio a dei nuovi che prenderanno posto là dove ne esistevano già di vecchi, in una nuova casa ma sotto lo stesso cielo.
Gli addii non fanno per me, decidere cosa resta e cosa se ne va, sapendo che dovrò separarmi per sempre da cosa resta, dagli oggetti e dalle persone, che sono entrate nella mia vita per caso e che sembrano farne parte da sempre.
La mia amica Ingrid, che mi aspetta con in mano un paio di scarpe da Zara di sabato mattina. Lei andrà in Repubblica Dominicana, forse prima o poi ripasserà da Parigi, ma chi può dirlo?
La mia amica Lorena, la mia vicina di casa, la mia compagna di merende, forse un giorno ci rivedremo sul lago di Como o in qualche altra parte del mondo in cui la porterà la vita.
La mia Irina, che con la sua positività ha dato forma ai miei sogni, che mi ha fatto capire che non importa cosa riescono a fare gli altri, importa solo quanto riesci a migliorarti tu.
Alle persone ci si abitua, eppure non lo si dovrebbe mai fare. Non lo si dovrebbe mai fare per non darle mai per scontate, perché se oggi sono con noi, domani potrebbe non essere così. Non lo si dovrebbe fare perché abituarsi alla presenza di qualcuno fa male, quando poi questo qualcuno non c’è più. Eppure non è questa l’essenza stessa dell’amore?
Non mi sono abituata al traffico, quello no, odio usare l’auto in città e a Panama ancor di più. Agli stipendi che non esistono, le persone che vengono pagate in mance, o in percentuale di quello che lavorano. Non mi sono abituata alla sporcizia, alle lattine lanciate dal finestrino dell’auto, ai cumuli di spazzatura ai bordi dei villaggi, alla desolazione quando mi capita di frequentare certi quartieri. Non mi sono abituata a certi scontrini esosi del supermercato, alle vaschette di pomodori ammuffiti, ai buchi nelle strade, alla segnaletica senza senso.
Mi sono abituata al caldo afoso, all’umidità, ad uscire dalla doccia sudata. Non mi sono abituata al freddo dell’aria condizionata ovunque, e ancora dimentico di portare con me il maglione, però ho imparato a mettere i jeans. Mi sono abituata alla lentezza locale, ai ritardi, alle mail e alle chiamate mai ricevute. Avrò dei problemi, per questo, tornando ai ritmi di Parigi. Mi sono abituata a non trovare quello che mi serve. Alla mentalità di certe persone. Alle chiacchiere infinite di Rocio, però, non mi sono ancora abituata, credo.
Me ne vado da Panama con una lista di cose da fare che probabilmente non volevo fare davvero, altrimenti non avrei rimandato, non avrei messo in coda, non avrei aspettato. O forse non ho avuto abbastanza tempo, quando pensi di averne poi passa e non torna più.
Ma me ne vado da Panama con la consapevolezza di aver regalato un’esperienza – mille – incredibile alle mie figlie. P. compirà presto 7 anni e mezzo e per lei vivere a Panama è stata solo una grande, unica, immensa avventura.
E alla felicità dei figli non ci si abitua mai.
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