Mamme e sacrificio: no, immolarsi non è educativo

Abbiamo già parlato della mamma sacrificale, e di chi in generale ama parlare in termini di sacrificio materno quasi fosse la virtù massima. Se mi sacrifico come essere umano, se mi immolo alla maternità, sono una mamma perfetta, no?

Beh, no.

O almeno, a mio modestissimo avviso, no.

E non solo mio, a dire il vero.

Tempo fa ho letto un libro: “Una donna” di Sibilla Aleramo, pubblicato nel 1906*.

Ripercorrendo la sua infanzia, l’autrice parla spesso della madre, di come si sia sacrificata ai figli rinunciando a tutto, fino ad ammalarsi di depressione e a morirne.

Ve ne riporto uno stralcio:

“Perchè nella maternità adoriamo il sacrificio? Da dove è scesa a noi questa inumana idea dell’immolazione materna? Di madre in figlia, da secoli, si tramanda il servilismo. E’ una mostruosa catena. (…) Allora riversiamo sui nostri figli quanto non demmo alle nostri madri, rinnegando noi stesse e offrendo un nuovo esempio di mortificazione, di annientamento. Se una buona volta la catena si spezzasse, e una madre non sopprimesse in sè la donna, e un figlio prendesse dalla vita di lei un esempio di dignità? Allora si incomincerebbe a comprendere che il dovere dei genitori inizia ben prima della nascita dei figli e che la loro responsabilità va sentita innanzi, quando più la vita egoistica urge imperiosa, seduttrice (…). Per quello che siamo, per la volontà di tramandare più nobile e più bella in essi la vita devono esserci grati i figli, non perchè, dopo averli ciecamente suscitati dal nulla, rinunziamo ad essere noi stessi”.

E’ stata davvero una sorpresa leggere queste parole sapendo che sono state scritte nel 1900: centodiciotto anni fa le donne già si interrogavano sul proprio ruolo, eppure il mondo non è cambiato poi così tanto.

Non è facile mostrare ai figli che la vita è meravigliosa e va vissuta al massimo, trasmettere l’entusiasmo, la voglia di viaggiare, di rimettersi in gioco, di cambiare anche quando è rischioso o ci sentiamo troppo vecchi per farlo, ma possiamo iniziare dalle piccole cose.

L’anno scorso, a 40 anni compiuti, ho deciso di operarmi agli occhi per eliminare gli occhiali.

Molti mi guardavano straniti: a 40 anni?! Quando tra un po’ ti toccheranno comunque gli occhiali da presbite? “Butti” soldi che invece potresti mettere da parte per i figli? E a che pro?

Per me, l’ho fatto per me, per me sola.

Ed è stata una delle migliori scelte che potessi fare.

E’ vero, ho speso dei soldi che potevo investire per la famiglia, ma non me ne sono pentita.

Io credo che anche essere per una volta “egoisti” sia un insegnamento: dimostriamo ai nostri figli che contiamo, che siamo persone oltre al ruolo di mamma o papà, che teniamo a noi stessi.

Che non c’è un’età giusta per fare le cose.

I miei figli sono gli unici che non si sono stupiti della mia scelta, che non mi hanno fatto i conti in tasca, che si sono mostrati entusiasti.

I bambini, grazie a Dio, non hanno la minima concezione del “tempo massimo” per fare le cose.

Siamo noi adulti ad  “insegnare”  che è troppo tardi per fare qualcosa, o che non meritiamo di investire su noi stessi.

Ecco, questo messaggio non l’ho dato e non lo voglio dare: sono stata egoista? Sì, e trovo sia stato un bel momento educativo.

Non è sempre facile insegnare la gioia di vivere, anzi. Soprattutto quando le cose non sono esattamente idilliache, quando magari facciamo un lavoro che ci stressa, non ci piace, che viviamo come un peso.

Non tutti possono permettersi di cambiare, lo so bene, ma in questo caso si può comunque sforzarsi di fare altro, di avere un hobby, una passione, per dire ai figli “ok, io non ho il lavoro dei sogni, ma ho comunque una bella vita, perchè ho voi, perchè ho un matrimonio felice, perchè vado correre o al cinema o a fare yoga, insomma perchè vivo, e vivo bene”.

Io spesso litigo con mio marito perchè si lamenta del lavoro (che pure ama e in cui è molto bravo) sbuffa, e secondo me rischia di trasmettere ai bimbi che lavorare sia una palla mostruosa: io invece faccio tutto quello che posso per insegnare che devono impegnarsi per trovare un lavoro che li realizzi, che li faccia sentire bene e orgogliosi. E che se così non sarà, pazienza, basta che questa soddisfazione la si trovi altrove. E lo faccio partendo da me stessa, perchè le parole da sole non servono a niente.

Sento tantissime volte dire “basta che i miei figli siano felici” e altrettante “quello che conta è l’esempio”: e allora perchè ancora fatichiamo tanto a mettere insieme queste due frasi, e a dare un esempio e un insegnamento, e così, alla fine, un dono di vita felice e appagata?

 

 

*E’ un libro femminista e autobiografico, difficile da leggere per la prosa ottocentesca, ma se si supera questo scoglio è forte, duro, un pugno nello stomaco. La protagonista è una ragazza intelligente, colta, emancipata, che tuttavia, a causa di una violenza, finisce in un matrimonio bruto, violento, oppressivo. Ma piano piano piano ritrova se stessa, e farà una scelta controcorrente e dolorosissima, certo non condivisibile e criticabile. Ma gli spunti di riflessione sono tanti.

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4 Comments

  • Mah sinceramente non ti definirei proprio egoista solo per aver fatto un operazione agli occhi. Se per farla avessi tolto il cibo ai tuoi figli allora potresti definirti così ma da quello che vedo su instagram e leggo sul blog (e lo seguo molto attentamente😉) ai tuoi figli non manca niente! Quindi per me hai solo fatto una scelta giusta.

  • Sono pienamente d’accordo. Troppe volte sento dire “faccio questo quando tutti dormono così non rubo tempo a nessuno”. Ma che vuol dire? Il mio tempo vale come quello degli altri. Ho imparato a riprendere in mano la mia vita, a crearmi degli spazi miei, perché poi sono più rilassata e perché mi piace. E no, non mi sento in colpa per niente.

  • Io sto cercando lavoro, e lo faccio per me perché credo di avere dato tutto dopo quattro anni a casa e due figli. Perché ho bisogno di tempo per me, di guadagnare anche per loro. Ho un po’ di paura, ma speriamo di trovare qualcosa presto!

  • Ho sempre visto il sacrificio materno come quello di un atleta.
    L’atleta per raggiungere un obbiettivo fa grandi sacrifici e pensando al risultato che otterà gioisce del suo percorso….così una mamma o un genitore in genere. È un sacrificio ben lontano dal concetto Cristiano dell’imolarsi, è più uni sforzo per il raggiungimento di un traguardo personale (ovviamente è una scelta non un’imposizione).

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