Come sposarsi incinta e riderci sopra

Primi di luglio, 2008.

Prova dell’abito da sposa.

Luogo: Atelier “Officina delle fate“, sì quello del programma di Sky, ora è molto famoso, ma, all’epoca era solo un posto per squattrinate come ero io.

Avevo scelto un abito con un corpetto attillatissimo che metteva in risalto il punto vita che ho sempre avuto sottile come poche.
Sì, certo, fino al 2008, ora faccio concorrenza a Platinette.

Ad un certo punto irrompe nella stanza una voce che dice un irritante “Cara non si chiude. Sei ingrassata?”
Penso “merda!”, ma dico “bah…sai, torno da qualche giorno in Salento…ci sta…”.

Ho pensato ai rustici (bbboniii), alle orecchiette (dio mio! ) e ai pasticciotti, con la crema ancora tiepida (sbavo ancora oggi).
Quella voce insiste “No, non può essere, è troppo più largo…si è proprio allargata la vita, ma anche il bacino…senti, cara, ma sarai mica incinta?”
Dico “Seeeeeeeeee!” e penso “merda!”.
In effetti non vedo il ciclo da un po’…e dio santo guarda che bocce…che bocce, porca Eva!
Ma va…no, non può essere…
Bon, sai che c’è?, compro un test.
Arrivo a casa, ci dormo sopra e…positivo.
Porca la qualunque, sono incinta.
E mi sposo tra 2 mesi.
“Pronto?  Sì scusate sono quella del vestito bianco oro, corpetto…ecco sì: sono incinta, fermi tutti!”
Silenzio.
Poi sento quella voce che cerca di diventare rassicurante con un “cara, stai tranquilla, non sei la prima, sta calma e ascolta: ti sposi il 12 settembre,  vieni qui il primo del mese e vediamo che ti sta”.
VEDIAMO CHE TI STA?!
È il mio matrimonio.

E certo,  indosserò quel che mi sta.
1 settembre 2008.
Io e la mia amica.

Mi infilo il vestito, Lui, il prescelto.
Non si chiude.
Ma tipo che  mancano 7 cm sulla schiena perché possa chiudersi.
La solita, ora impertinente, voce: “Che facciamo? Lo cambiamo?”.
Guardo la mia amica e rido, ma rido da buttarmi a terra, non in modo isterico, proprio di cuore, perché che vuoi farci?!, niente. E quando non si può fare niente, la mia regola aurea è: non incazzarti e  non deprimerti. Ridi.
Così, pronuncio un ormai mitico fantozziano: “Ma sì, ma chissenefrega!”.
La voce chiede: “Stesso colore?” e la leggenda che le mie amiche raccontano ancora oggi vuole che la mia risposta fu un:
“Bah…se ce n’è…altrimenti amen”.
Uscii dall’Officina delle fate con un vestito che non c’entrava assolutamente nulla con quello che avevo scelto.
Niente.
Zero.
Nemmeno il colore.

Era esattamente un “quel che mi sta”…ma io ero felice come lo sono stata poche volte nella vita.

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