Viaggio a Cuba: l’eterno inganno?

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Per anni ho sognato di visitare Cuba. E non perché in gioventù avessi fatto sogni erotici sul Che, o perché abbia mai pensato, in vita mia, che il socialismo – un certo socialismo – fosse la via migliore a tutto. In fondo ho vissuto in Bielorussia, e il socialismo lo conosco bene.
Di Cuba però avevo questa visione molto romantica, molto romanzata, di caldi tramonti sul mare, note pizzicate tra le vie acciottolate, sorrisi bianchi e pelli dorate. Ed è così che sono sbarcata a La Habana il 26 ottobre 2016, con le mie figlie e con mio marito: con il cuore aperto e la voglia di scoprire, al di là del turismo, quale fosse la vera essenza di quest’isola.
O almeno di provarci.

Visitare Cuba coi bambini – tour di due settimane

26-29 ottobre: Viñales

Abbiamo deciso di vivere questa vacanza a basso costo. Arriviamo quindi a destinazione con un autobus, e ad attenderci c’è il nostro padrone di casa, Yulkiel. È felice di vederci e di ospitarci per tre notti, anche lui ha un bambino di sei anni. Le strade sono affollate, di gente che sorseggia mojito, di cavalli e cani erranti, di cubani che si godono il fresco del crepuscolo. Mentre ci lasciamo cullare dalle sedie a dondolo sul patio le bambine giocano in strada. Penso che forse queste persone hanno capito il senso della vita: famiglia, amici, fiducia nel prossimo, una bella casa colorata, un piatto caldo per tutti e una curiosità innata per tutto e tutti, proprio quella curiosità che per noi si è trasformata in paura. Quanti di noi vivrebbero lasciando la porta aperta? Quanti lascerebbero i propri figli correre in strada dietro alle galline?
I tre giorni a Viñales ci fanno scoprire l’amore per i cavalli, le piantagioni di tabacco, le lunghe chiacchierate coi cubani che ci parlano di politica e che si chiudono appena rammentiamo Fidel. Di Fidel non si parla, di suo fratello nemmeno, ma il Che resta il Che. Com’è possibile che, senza praticamente alcun accesso a internet, questa gente sappia così tanto del mondo? Forse Fidel aveva ragione. Odiano l’embargo perché non permette loro di vivere dignitosamente: Yulkiel è ingegnere meccanico e, prima di lasciare il lavoro poche settimane prima, guadagnava 35 dollari al mese lavorando per un’azienda di riciclaggio. TRENTACINQUE dollari al mese. Noi gliene diamo 30 a notte per essere ospitati nella sua casa colorata e tranquilla.
Andiamo al mare, a Cayo Jutías, e ne restiamo innamorati. Ci congediamo da Yulkiel sperando, un giorno, di rivederci. Sarà mai possibile?
 

29-30 ottobre: Cienfuegos

Un taxi privato ci accompagna lungo l’infinita strada che ci porta verso il sud centrale dell’isola. Siamo diretti a Trinidad ma prima facciamo una sosta a Cienfuegos. Prima di arrivare ci fermiamo a visitare l’allevamento di coccodrilli: la gran parte è utilizzata come pelle per borse, scarpe e cinture, e solo il 10% viene rimesso in libertà. Salutiamo la baia dei porci, che a Cuba non si chiama così, ma semplicemente Playa Girón (ed è di una tristezza disarmante, ahimè), e arriviamo a Cienfuegos.
Ad accoglierci è Ofelia, una signora di mezza età con una bellissima casa coloniale. Tutta la città è coloniale, ma la descrivono come una piccola Parigi e, per me che considero Parigi casa mia, è una piccola delusione. La cittadina però è gradevole, i mojito sono i più buoni del mondo e l’architettura lascia a bocca aperta. Ofelia si innamora presto delle mie figlie: alla fine del soggiorno, di una notte soltanto, regala loro dei peluche che aveva in casa. Anche con lei ci congediamo così: ci rivedremo presto, forse.

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30 ottobre – 1 novembre: Trinidad

All’arrivo in bus a Trinidad veniamo circondati da jineteros, la parola che definisce quelli che cercano di fregarti. Alex, il padrone di casa, è venuto a prenderci e ci accompagna tra le strade acciottolate. Le vie sono piene di mercatini, un banco è di Alex, vendono souvenir e magliette del Che. Trinidad ha una luce che lascia il segno. La sua lunga scalinata, accanto alla casa della musica, ospita concerti, tavolini e ramarri. È il momento più bello della vacanza: i raggi del sole calano sui tetti delle case, la gente è felice, ascolto la musica e penso che potrei restare qui per sempre, con le persone che amo. Alex e Yamilet hanno una casa bellissima, sono stati anche a Mosca. Penso che in fondo sì, il socialismo è una bella cosa, riesce anche ad essere meritocratico, ed io forse a Trinidad ci vivrei. Ok, forse non avrei tutte le opportunità che ho adesso, ma vuoi mettere con questa gioia per le piccole cose, per le serate in strada e il cibo semplice e la natura incontaminata? Yamilet mi dice che la sola cosa importante nella vita è avere accanto chi si ama. Ha ragione? Forse sì, ed io lo capisco. Riparto con l’idea che Trinidad è uno dei posti più belli del mondo, e la sua gente, così allegra e disponibile, mi ha rubato il cuore. Forse anche qualche dollaro di bevute, ma poco importa.

1-2 novembre: Santa Clara

Sempre in bus raggiungiamo Santa Clara, ultima tappa prima di arrivare a La Habana. La stazione degli autobus è grande, accaldata, affollata e sporca. Ci aspetta Miguel, col suo immancabile cappello, che contratta un carretto per portarci a casa sua. È la seconda volta che prendiamo un carretto, e per la seconda volta mi sento a disagio. Attraversiamo strade con case pericolanti, bambini scalzi e polvere che si alza ad ogni movimento. L’appartamento è in centro, sulla piazza principale, e tiro un sospiro di sollievo. Usciamo in piazza e una donna ci chiede dei soldi. Una donna qualunque, non una senzatetto. Un’altra ci chiede se abbiamo delle magliette per bambini. Ma noi siamo partiti con una borsa soltanto per 4, non abbiamo niente. Niente per i nostri standard. E le caramelle le abbiamo lasciate tutte al figlio di Yulkiel. Ci svegliamo al mattino presto per andare a visitare il mausoleo del Che: è qui che riposano i suoi resti. Contrattiamo un bici-taxi, il mezzo più comunque di Santa Clara, che per ben 5 dollari ci porta al treno blindato assaltato dal Che, al monumento del Che col bambino e infine al suo mausoleo, per poi aspettarci per riportarci indietro.
Ammetto di essere emozionata. Leggo la lettera che Ernesto Guevara ha scritto a Fidel prima di congedarsi e partire per la Bolivia e mi vengono i brividi. Che bella persona. Che uomo. Quanti Che ci vorrebbero, in questo mondo malato? Me ne innamoro.
Poi le vedo. Usciamo dal mausoleo per tornare dal nostro tassista e vedo le baracche: tutte là, proprio dove guarda l’enorme statua del Che. Vedo i bambini scalzi sulla terra. Vedo le caprette magre. Vedo l’immondizia e la desolazione.
E tentenno: caro Che, era questo che volevi?
Lascio Santa Clara sconsolata e con una brutta sensazione di disagio, sperando che il viaggio in bus mi aiuti a scrollarmi di dosso tutto.
Ma l’arrivo a La Habana non aiuta.



 


2-5 novembre: La Habana

Nel prenotare gli appartamenti, sono sempre stata sotto i 30 euro. A La Habana ho scelto una camera in casa di Tony, che millantava anche il wifi. Arriviamo la sera tardi e ci accoglie una ragazza che parla italiano, che dice di essere la nipote di Tony. Abbiamo una camera sulla strada, in piena Habana Centro, la parte più dimessa della città. Il bagno è in comune. Per la prima volta mi chiedo se, a 34 anni io e 41 mio marito, con due bambine piccole, sia davvero il caso di risparmiare su certe cose: per qualche dollaro in più avremmo dormito in un’altra zona. Alla fine della vacanza mi dirò che sì, vale la pena, perché nessun comfort vale come l’opportunità di vivere a contatto con la gente, e penso che tante persone sono state a Cuba senza averne capito niente.
Io non so se ne ho capito qualcosa, non voglio essere così piena di me, ma almeno ci ho provato. Mi sono svegliata coi rumori della gente de La Habana. Ci ho mangiato insieme, finendo tutto quello che mi offrivano. Ho dormito nei loro letti scassati e posato il mio spazzolino a fianco del loro.
Ho passeggiato per le strade dell’Habana Centro senza sentirmi né minacciata, né spaventata, né stupita. Ho visto cose strane, sì, ho visto negozi in cui probabilmente non comprerei nemmeno un biscotto – tanto meno un biscotto – ho visto così tanta spazzatura che Panama mi sembra l’Eden, ho sentito odori che non dimenticherò mai. Ma ho visto anche la bellezza della gente, la furbizia di altra, ho scoperto localini meravigliosi, ho camminato nella storia, ho cercato la storia in ogni angolo, ho respirato l’aria della Cuba che avevo sognato e che, mentre guardavo gli ospiti della terrazza dell’hotel Nacional – in cui eravamo per bere un mojito vista Malecón – sentivo di aver respirato e capito, almeno un po’, soltanto io. O forse mia figlia che mi ha portato una tortora morta tra le mani.

Forse ho preteso troppo, forse non capisco niente, eppure sono ripartita con l’idea di averla fatta un po’ mia, Cuba. Di averne capito le debolezze, di aver capito la sua gente nei suoi silenzi e nella sua mentalità, di aver capito Fidel al di là del mito, l’embargo al di là degli americanisti e degli anti-americanisti. Un embargo servito allo stesso Fidel per alimentare il mito, per reggere tutti questi anni. Un embargo che di fatto fa chiedere magliette ai turisti.

Forse ho capito Cuba, ma è proprio il fatto di non riuscire a dare una spiegazione valida e scientifica, politicamente scientifica, mi ha fatto traballare. Mi ha lasciata in uno stato di stordimento che ancora oggi fatico a spiegare. Cos’è Cuba? Cosa sarà di Cuba? Cosa potrebbe essere stato di Cuba?

È stata una vacanza piena, arricchente, ma che mi ha anche molto turbata.
Di sicuro, Fidel o non Fidel, le persone che ho incontrato mi hanno lasciato molto di più di quanto abbiano fatto tante altre che hanno fatto parte della mia vita per molto tempo.
Di sicuro, sono consapevole della fortuna che ho, che abbiamo, ad essere nata nella parte “giusta” del mondo.

VIAGGIO A CUBA LOW COST

Alloggio: Airbnb, 30 euro massimo a notte
Spostamenti: autobus Viazul prenotabili online e taxi da contrattare sul posto
Spese varie: dipende da come volete vivere, ma i pasti sono molto economici, così come gli ingressi ai siti storici o di interesse
Se volete qualche consiglio più specifico, scrivetemi pure a 50sfumaturedimamma@gmail.com, ho anche qualche indirizzo fighissimo a La Habana (per non andare nei soliti posti turistici e mangiare pollo e arroz!).
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4 Comments

  • Io a Cuba ci sono stata nel 2009, un viaggio allucinante e male organizzato.
    Nonostante ciò mi era entrata nel cuore, per le stesse cose che scrivi tu, sopratutto la curiosità e il calore delle persone. Mi era sembrato un mondo lontano, dove i cartelloni pubblicitari erano sostituiti dai volti degli eroi della rivoluzione e l'avevo amata.
    Mi ero accorta una volta di più che tutto quello che abbiamo ci ha dato soprattutto tanta paura e tanta diffidenza verso il prossimo. Ed è tristissimo.

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