Caro amore mio/topolo/mo’/teso,
sì, ti chiamo così per abitudine, lo sappiamo entrambi. Chiamarti per nome ormai mi sembra strano, un po’ come quando alle 8 ancora dormiamo e, magia, nessuno è piombato nel nostro letto.
Ti ho sempre detto che di festeggiare San Valentino non me ne importava niente, perché l’amore è tutti i giorni, perché dei cioccolatini non me ne interessava nulla (banali operazioni commerciali in cui io, bibi, non casco, lo sai), perché il nostro amore non doveva trasformarsi in quella banalità in cui ci si adora un giorno all’anno e gli altri 364 giorni ci si manda a quel paese e si guardano i culi altrui.
No, io volevo che fossimo diversi.
L’ho pensato anche il nostro ultimo San Valentino, sai? Quello prima dei figli, intendo. Quel giorno me lo sono detta: questo è l’ultimo 14 febbraio che passiamo da soli, forse per una volta, una sola, dovremmo fare qualcosa di speciale, no? Mi ero fatta un bagno lungo, depilata, messa la crema profumata e lo smalto. Mi dicevo che noi saremmo stati – di nuovo – diversi, che ci saremmo amati con passione ogni giorno, anche con le fatiche dei figli. Che mi avresti desiderata come sempre e che sarebbe stato sempre San Valentino, per noi, sempre sesso al mattino prima di andare in ufficio, docce insieme e cenette a lume di candela nel weekend. Poi mi ero addormentata sul divano guardando L’Eredità aspettando il tuo rientro, e tu non ti eri nemmeno accorto delle gambe lisce.
Poi siamo diventati genitori, ed io ero completamente sfatta. Ricordo il primo San Valentino, io con le tette al vento e non certo per imitare un porno, tu a spiegarmi al telefono che proprio non ce la facevi a rientrare presto, che c’era un’urgenza e dovevo capire, in fondo vivevamo col tuo stipendio, no?
Non so più quanti San Valentino siano passati da quando siamo diventati genitori. Sì, hai ragione, basterebbe contare gli anni del nostro primogenito, ma preferisco non saperlo. Preferisco non sapere quante occasioni abbiamo perso di guardarci negli occhi per celebrare una stupida festa commerciale, per chiedere ai nonni di tenerci i bambini, per depilarmi cazzo, per fare l’amore contro il cofano dell’auto (sì, fa freddo il 14 febbraio, e allora?), per sfiorarci la mano sotto il tavolo del ristorante, mentre ci sentiamo speciali tra altre decine di coppie lì che si sentono speciali proprio come noi.
Ma sai perché non voglio ricordare quante occasioni abbiamo sprecato? Perché so che l‘amore è oggi, 14 febbraio o 14 ottobre o 4 gennaio, non importa.
È la notte, quando uno dei due è troppo stanco per l’ennesimo risveglio e l’altro lo lascia dormire.
È la mattina quando uno dei due prepara la colazione e l’altro i figli.
È quando ci coalizziamo contro di loro perché non guardino troppa tv.
È quando spieghi le regole di matematica e io quelle di italiano.
È quando prenotiamo il prossimo viaggio, chiedendoci cosa piacerà loro.
È quando guardiamo le quattro mura che abbiamo intorno e sappiamo che siamo stati noi a tirarle su, quelle mura che ascoltano i nostri pianti e le nostre risate, che riscaldano le nostre notti e rinfrescano i nostri pomeriggi, che cullano i nostri sogni vicini e lontani. I nostri e i loro sogni, mentre li guardiamo distruggerci un mobile e ci arrabbiamo, mentre aspetto con la pentola coperta che torni a casa, mentre mi concedi quel bagno caldo di cui ho tanto bisogno.
È una nuova serie sul divano con la copertina.
Però oggi è San Valentino, e anche se sai che i cioccolatini non li voglio perché mi fanno ingrassare, tu pensa ancora che siamo speciali.
Perché in fondo, per crescere dei figli insieme, bisogna pur esserlo, no?