Come un gatto in tangenziale, il vostro film di Natale

Ci sentiamo sempre vittime di pregiudizi e tanto aperti rispetto agli altri, eppure quanti di noi hanno pronunciato una frase del tipo “non sono razzista ma…”? Se non era esattamente questa, una molto simile. Io stessa, che ho vissuto in diversi paesi, sono cresciuta con persone di ogni nazionalità – in particolare tra i cinesi quando i cinesi erano un pugno qua e là in Italia e mangiavano cose che non avevamo mai visto – mi sono ritrovata tante volte in situazioni di pregiudizio, per esempio quando incrocio qualcuno e istintivamente metto la mano sulla borsa stringendola. Esisteranno dei puri dell’uguaglianza, ma Come un gatto in tangenziale ci spiega bene che in fondo in fondo, per aprirci all’altro senza pregiudizi, ci vuole davvero tanto impegno.

Questo film – che esce domani 28 dicembre 2017 nelle sale italiane e che noi abbiamo visto in anteprima – spiega alla perfezione quanto una certa mentalità sia intrinseca nella nostra società, nelle nostre teste, nonostante un certo livello culturale. Il protagonista Giovanni – Antonio Albanese, estremamente compito e raffinato – lavora addirittura sull’integrazione tra le periferie disagiate e il resto delle città più sviluppate, e lo fa presentando progetti all’Unione Europa. Eppure un giorno la sua bella figlioletta tredicenne, capelli lisci e splendenti, vita stretta e denti bianchi, borsa di marca al braccio (portata proprio come fanno le fighette, mica a tracolla!), si innamora di Alessio, un coetaneo che viene dalla periferia di Roma, il taglio di capelli di un calciatore, accento romano da vero burino e jeans sdruciti.

Come si tiene fede ai propri principi se di mezzo ci sono i figli? Ci avete mai pensato? Io a volte ci penso: le mie figlie sono in classe con bambini di ogni nazionalità ed estrazione sociale, l’amica più cara della piccola è una bambina algerina arriva in Francia due anni fa che vive coi genitori e i tre fratelli in una specie di casa famiglia d’urgenza con altre famiglie provenienti da tutto il mondo, senza nessun avere. Finora è facile, anzi, spero che questa amicizia crei dei valori nelle mie figlie, dell’idealismo, perché forse un po’ come Giovanni anch’io sono una pseudo intellettuale (passatemi il termine!) snob a cui piace l’integrazione, o almeno parlarne. Ma se un giorno una delle mie figlie si fidanzasse con Abdul e dall’oggi al domani iniziasse a frequentare le banlieue, quelle in cui si dà fuoco alle auto e si spaccia? Come si combatte con un figlio adolescente che pretende di fare come gli pare?

Probabilmente anch’io reagirei come Giovanni, non lo so. Probabilmente anche per me lo spirito di sopravvivenza prenderebbe il posto della tolleranza, la paura quello della fiducia, e inizierei a preoccuparmi. Probabilmente molto più che se fossero fidanzate con Jean, il vicino di casa del quartiere borghesotto con la mamma medico e il papà manager di una grande azienda. Ed è giusto? È giusto lavorare finché sono piccoli affinché considerino ogni essere umano allo stesso livello e poi, nel momento più duro dell’adolescenza, far credere di aver detto tutto il contrario di quello che pensiamo?

Lo dice Agnese, la figlia di Giovanni: ma se mi hai insegnato tu che bisogna accettare tutti perché tutti sono uguali? Erano tutte bugie?

Giovanni alla fine ci insegna che in fondo aprirsi è sempre la scelta giusta, soprattutto quando bisogna dare il buon esempio a figli, ancor più se adolescenti. Ma anche che integrazione e tolleranza sono parole che funzionano a doppio senso: lui si apre, ma è obbligata a farlo anche Monica, la mamma di Alessio – alias una fantastica, e in formissima, mannaggia a lei e ai suoi 44 anni, Paola Cortellesi – che proprio come Giovanni è piena di pregiudizi nei confronti di gente come lui, che “non lavora veramente” (mica come lei che si fa il mazzo in una mensa degli anziani), che contribuisce al “magna magna” della politica, ecc ecc. Il pregiudizio ce l’hanno i colti come gli stolti, i ricchi come i poveri, i bianchi come i neri (infatti Monica spiega bene come ci si odi tra varie etnie!).

E quindi come si fa a non avere paura? A continuare ad insegnare a figli non più piccolissimi che la tolleranza è sempre la scelta migliore? A prendere il rischio che i nostri figli inizino a frequentare persone non più scelte accuratamente da noi, ma che piacciono semplicemente a loro?

La risposta non ce l’ho, ma Come un gatto in tangenziale offre sicuramente degli ottimi spunti, che non vi anticipo. Se avete dei figli adolescenti è un ottimo modo per affrontare il discorso – tanto lo so che anche voi avete qualche Mohamed o Pablo o Xian nei dintorni! – andate tutti al cinema insieme in questi giorni di festa, fatevi due risate (c’è anche Amendola in versione parrucchiere galeotto) e provate a chiedervi se davvero state facendo qualcosa per l’integrazione: potrebbe essere il vostro proposito per il 2018!

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