Una mamma può davvero lavorare a tempo pieno? Vol. 2

Sono passati alcuni anni da quando Morna ha scritto la prima versione: una mamma può davvero lavorare a tempo pieno? Allora, lei non aveva la risposta. Io ero certa che sì, si potesse fare: ero presa in un vortice di lavoro a tempo pieno, grande città da vivere i cui spostamenti portano via molto tempo, un marito lontano, la famiglia lontana e due bimbe molto piccole in età ravvicinata. Tenevo in piedi tutto cercando di non affondare, dicendomi che andava bene così: il mio lavoro mi piaceva, in ufficio avevo stretto delle amicizie importanti che in quel momento della mia vita, senza nessun altro adulto vicino a me, erano fondamentali per la mia salute mentale. Accompagnavo le mie figlie di corsa, una al nido e una a scuola, rigorosamente a piedi, andavo a lavorare di corsa, lavoravo di corsa per non lasciare nulla da fare, uscivo di corsa alle 18.30 – era l’orario – per essere a casa in tempo, cucinavo di corsa mentre le bambine spesso urlavano, piangevano, avevano bisogno di attenzioni, mangiavamo di corsa per non andare a letto troppo tardi, e poi non era finita lì, pulivo un minimo, facevo delle lavatrici, organizzavo cose, insomma, in un attimo era l’una e dopo qualche ora di sonno ricominciava tutto.

Era vita?

No.

Il mio era un caso straordinario – all’estero e con il marito lontano – ma di mamme E GENITORI in generale che fanno questa vita è piena l’Italia, la Francia e molti altri paesi “sviluppati”. Genitori obbligati a lavorare 10 ore al giorno, a sorbirsi spostamenti di un’ora o due al giorno, a vedere i figli per poche ore, spesso nemmeno con l’umore giusto, troppo stanchi per star dietro a bambini altrettanto stanchi, carichi di emozioni e aspettative.

Perché ci siamo ridotti così? Non lo so. Da una parte c’è chi ha studiato tutta una vita per poter fare il mestiere dei suoi sogni, e come si fa a rinunciare ai sogni “solo perché si è diventati genitori“? Non è giusto. Dall’altra parte ci sono persone che devono lavorare per portare i soldi a casa, perché non è vero che “lavorare mi costa quanto la babysitter“, sicuramente nei primi tre anni di vita di un bambino le spese possono essere importanti, tra nido e babysitter, ma poi c’è la scuola e i soldi diventano subito di più. Ci sono passata io.

Vedo tante mamme che lasciano il lavoro. Alcune si reinventano, alcune invece stanno semplicemente a casa. Non è una scelta giudicabile, ma è una scelta che per me sa di sconfitta. Ci siamo battute abbastanza per avere più diritti? O forse abbiamo chinato il capo, come facciamo sempre, prima accettando stage gratuiti, poi contratti a termine senza termine, poi orari impossibili, poi demansionamenti discutibili e, infine, di abbandonare il lavoro perché non ce la facevamo più?

In Francia le donne non hanno tutto il peso della famiglia, e questo è un bene. Ma a che prezzo? Che si sono trasformate in uomini. Lavorano tanto quanto loro, perché era l’unico modo per dimostrare che valiamo tanto quanto il sesso maschile. Ma i figli vedono più la tata dei genitori, quindi che vittoria è?

Ho sempre pensato che i bambini stiano bene se la mamma è serena, e ne sono tuttora convinta. Ho sempre pensato che i bambini stiano bene vivendo la vita che sono abituati a vivere, ma adesso ne sono convinta solo in parte. Quando sono neonati, hanno bisogno di cure primordiali: coccole, cibo, sonno, pulizia. Quando crescono, sviluppano tutta una serie di bisogni che vanno al di là della semplice cura e hanno bisogno dei genitori e di genitori presenti. Io l’ho visto con le mie figlie: quando il padre è partito per il Pakistan avevano 18 mesi e 3 anni e mezzo: non hanno battuto ciglio. Io lavoravo tutto il giorno e loro erano serenissime, anche nei mesi successivi. Adesso che sono più grandi, subiscono molto le separazioni: dal padre, dalla nonna, da me. Piangono quando io esco, e non l’hanno mai fatto.

Perciò la mia risposta oggi, da madre di bambine di 8 e quasi 6 anni, è che no, una mamma non può lavorare a tempo pien(issim)o. E nemmeno un papà. Non è giusto, perché l’infanzia dei nostri figli non ce la renderà nessuno. Perché non dovremmo stare tutti a casa, ma avere più flessibilità per potersi prendere un pomeriggio per la recita o solo per andare al parco senza sensi di colpa, perché dovremmo uscire tutti ad un orario umano, non più tardi delle 17, per poter stare tutti insieme, mogli e mariti che non si parlano più, bambini che diventano sconosciuti ai genitori, ore che si perdono a fare riunioni inutili o a “farsi vedere” perché se vai via presto non sta bene.

Lo Stato dovrebbe imporre alle aziende di privilegiare sempre la famiglia perché la famiglia fa parte dell’essere umano e dovrebbe essere il luogo da cui trae maggior soddisfazione. Perché un genitore non è meno valido perché ama passare tempo con i figli, anzi! Una mamma non è un dipendente meno performante, anzi, è tutto il contrario. Quando lo capiranno? Quando capiranno che anche i padri devono far parte della vita dei loro figli, che non è giusto che il part time sia cosa da femmine (quando concesso)? E perché ancora gli uomini non si fanno tutti gli scrupoli che ci facciamo noi donne?

Io ho deciso che non tornerò indietro. No, non posso lavorare a tempo pieno. O almeno ci proverò. Non posso uscire oltre le 17 e non voglio che sia qualcun altro ad accompagnare le mie figlie a musica o a danza. E non perché mi senta in colpa, o non ritenga qualcun altro all’altezza: l’ho fatto per anni. Non voglio perché io VOGLIO stare con le mie figlie. Voglio ascoltare i loro racconti alla fine della lezione di piano, voglio fare merenda con loro, voglio essere all’uscita di scuola, vedere la maestra, semplicemente… ESSERCI.

Ma voglio anche lavorare. E quindi non ce l’ho, una risposta. So che viviamo in un mondo ingiusto e che anche se tra due mesi si vota, non cambierà niente. Noi mamme saremo sempre l’ultima ruota del carro e a rimetterci saranno sempre i nostri figli, e noi. E le nostre famiglie sempre più distanti, sempre più sconosciute, sempre più chiuse.

Ci vuole la rivoluzione, ecco cosa ci vuole.

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8 Comments

  • ………puoi condidarti tu? Almeno buona parte di noi saprebbe chi votare 😉
    Leggervi significa spesso sentirsi meno sola in questo frullatore…Grazie

    • Salve, io sono una madre adottiva con tanti sensi di colpa, mio figlio è entrato nella mia vita a quasi 8 anni. Era triste, arrabbiato, non mi voleva, soffrivamo insieme ogni giorno, lui così piccolo che doveva convivere con due sconosciuti in una nuova nazione, io che non sapevo come aiutarlo a fargli trovare la sua serenità. Potevo stare con lui solo 8 mesi, poi per mangiare e non fargli mancare nulla ero costretta a rientrare al lavoro ed ogni gg fino alle 19 non mi avrebbe più vista. Ora ha 14 anni, ho chiesto in azienda di ridurre la pausa pranzo per poter uscire alle 18.00, ma mi è stato negato. Non me la sento di lasciarlo in balia di sé stesso anche se ora vuole passare um paio d’ore fuori casa con gli amici e quindi mando sempre la nonna per pranzare con lui in attesa che esca e poi mi assicuro con un SMS che sia rientrato a casa come stabilito. Quando rientro sta finendo i compiti e lo porto a karate, ci rivediamo alle 21. Sapete cosa sarebbe giusto? Che al rientro da scuola ci fossi io a preparare il pranzo e sempre io dopo le due ore con gli amici in casa, ma non ho via di scampo. Sono in gabbia, mi preoccupa l’estate, due mesi solo, due mesi senza nessuno, neanche la nonna che parte per le sue vacanze. Solo amici, amici senza freno. Non posso neanche mandarlo dalla nonna, non conosce nessuno, portare un amico non lo soddisfa, lui vuole il gruppo, il branco. Sono preoccupata ma non trovo via d’uscita

  • Grazie per questo post.
    Io riprendo a lavorare dopo le ferie l’8 e son già alcuni giorni che sono in preda all’angoscia. Questo non perché il mio lavoro non mi piaccia, ma perché sono stanca psicologicamente soprattutto (la forza fisica la si scova sempre da qualche parte) di affrontare le situazioni che descrivi tu.

  • Mi rivedo in pieno in quello che dici, purtroppo però per i datori di lavoro siamo solo dei numeri e non hanno il minimo interesse a concedere dei part-time o dare un po’ di flessibilità oraria a chi ha figli. Che poi alla lunga è controproducente un atteggiamento del genere, perché non è difficile da capire che una persona appagata renda di più di una arrabbiata o depressa perché non può vivere la vita che vorrebbe.

  • Splendido articolo come sempre!!!!sono passata anche io da un centrifuga all’altra ad un licenziamento per stare in famiglia dopo il secondo figlio e finalmente ho trovato un lavoro flessibile e umanamente conciliante… dopo aver fatto vedere quanto valevo…..speriamo continui così perché il tempo con loro ,le attività varie e gli insegnanti mi hanno fatto rendere conto di tenere re meglio sottocontrollo scuola umori e problematiche varie .
    PS:vi leggo tutte le sere prima di dormire e mi sento umana grazie😁

  • Io vivo in Olanda e per gli olandesi e’ come hai descritto tu, la maggioranza lavorano part_time, 2 o 3 giorni a settimana. Io purtroppo non parlando benissimo olandese sono obbligata a cercare nelle organizzazioni internazionali dove assumono solo a tempo pieno e non posso anche perche’ l’asilo qui e’ carissiml. Io ho 3 figli piccoli, due suoceri olandesi che abitano a 130 km di distanza con molta poca voglia di aiutare perche’ sono pigri e si rompono con i miei figli, mio marito viaggia due volte al mese all’estero. Io sto srudiando fotografia, gestisco anche io un blog, genitori Italiani in Olanda, e due gruppi FB, tanto per non stare solo con figli. Provero’ a buttermi nella fotografia. Dopotutto ne ho avuto sempre la passione. Purtroppo a volte le condizioni di vita ti obbligano a non lavorare, non e’ che non si vuole lavorare

  • Ciao!Vivo una vita diversissima dalla tua,casalinga da anni proprio perché avevo marito in carriera sempre fuori città e due bambini che non volevo lasciare ,in attesa del terzo figlio,ma trovo giustissime le tue parole,e si ho pensato anche io leggendoti che dovresti candidarti!La famiglia è il perno della società, ma tutti se ne dimenticano…

    • Grazie Lilly, fa piacere leggerlo da te. Io ho fatto la scelta di continuare a lavorare proprio perché mio marito non c’era e era l’unica cosa che mi teneva a galla, ma quanta inutile sofferenza.

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