Fenomenologia della mamma: la mamma insoddisfatta

In pochi giorni mi è capitato di leggere o sentire davvero tante mamme insoddisfatte.

C’è la mamma

lavoratrice insoddisfatta:

perchè rientra alle 19.30, in una casa lasciata nel caos la mattina, con ancora le tazze della colazione sul tavolo perchè non c’è nemmeno il tempo di riordinare, con i bambini stanchi attaccati alla gamba, che vorrebbero solo godersi la loro mamma, che invece non può dedicarsi a loro, non ancora.

C’è da sistemare, da preparare la cena si mangia tardi e… è ora di andare a dormire.

Normale chiedersi che senso, ha, se è gusto vivere così, se le scelte fatte sono state sbagliate.

Quando il lavoro è esattamente quello che si sognava è più facile accettare le difficoltà, si trova soddisfazione (anche) nel lavoro, anche se pesa il ritmo della settimana.

Ma purtroppo spesso non è così, spesso ci si trova a fare un lavoro che non era quello che ci aspettavamo, per cui abbiamo studiato o per cui ci siamo impegnate: tante volte ci si deve accontentare, avere un lavoro non è così scontato ormai, figurarsi se si può pretendere il lavoro dei sogni. O forse sì?

C’è la mamma

casalinga insoddisfatta

Che ha lasciato il lavoro quando sono arrivati i figli, o che non lo ha mai avuto.

Però il tempo passa, i figli ben presto passano a scuola tanto tempo e quel tempo può essere lungo da riempire: allora si pensa magari ad un lavoro, ma mettersi sul mercato a 35- 40-45 anni è difficile.

Poi ti offrono il part time su turni, ma il pomeriggio i bambini hanno calcio, catechismo, danza, rugby, inglese e violino: devo pagare una persona che li porti, allora che senso ha?

Tanto vale stare a casa. O forse no?

c’è poi

l’eterna insoddisfatta

e lì son cazzi.

Se lavora sarà insoddisfatta perchè dedica poco tempo alla famiglia, forse non è la scelta giusta… allora lascia il lavoro, ma no, non va bene, in fondo ha studiato, in fondo voleva fare grandi cose, non può rimanere solo a casa.

Allora si apre la partita iva, ma no, ci sono troppe tasse, non resta in tasca niente, a che pro?

Non va bene la casa, è troppo piccola, o troppo isolata, o troppo grande e richiede troppe energie.

Non va bene il posto in cui si vive: la città è caotica, il paese è alienante, al nord le persone sono troppo fredde al sud cazzone.

L’Italia fa schifo, è alla deriva, nei paesi nordici sì che si vive bene, ci sono servizi e aiuti.

Ma no, piove sempre, fa buio, non posso vivere senza sole e senza luce.

All’estero figo, ma in America son stronzi e arrivisti, Sudamerica, che ci vai a fare, mica c’è lavoro.

E poi è lontano, come fanno i nonni poveretti.

Australia non ne parliamo, due giorni di viaggio, i genitori sono anziani, per carità.

Ma il marito sarà quello giusto?

E’ sempre così spento, non ha voglia di fare nulla, non ama viaggiare, sta bene dove sta, a differenza mia.

Forse l’ex non era così male, ora vive a New York, potrei essere a Manhattan ora?

Caspita, lì sì che sarei felice, un sacco di cose da fare, musei, vernissage, cinema…

DRIIIIIN  “Ciao cara, sono Sofia, vieni a teatro con me stasera?”

“di mercoledì? no sei matta, sono stanca, mio marito pure, mi uccide se gli smollo i figli, e poi alle 10 crollo addormentata!”

Che si diceva? Ah sì, che meraviglia, le mostre, i balletti, i bar alla sex and the city …

 

L’insoddisfazione è un’attitudine.

Si può cambiare? Certo che si può.

Si può cambiare lavoro, lasciarlo, cercarlo, cambiare marito, casa, Paese.

Ma se l’insoddisfazione è dentro, profonda radicata, non cambierà nulla.

Bisogna partire dall’accettazione, dal volersi bene, dal riconoscersi dei meriti.

Dopo, con fatica e impegno, si potrà capire.

Se la vita che abbiamo è davvero così sbagliata, se siamo davvero in tutt’altra direzione rispetto a quelle che volevamo da bambine.

Ma sicure che quello che volevamo da bambine sia ancora giusto per noi? Che non fosse una ribellione, un disagio, una voglia di fuggire o di essere il contrario dei genitori, dei nonni, di chi avevamo intorno?

Ma sono poi così terribili, visti 30 anni dopo?

Oggi un’amica mi parlava di mindfulness: pare che l’85% della nostra vita la passiamo in un universo non reale, nel passato o in un futuro che ancora non esiste e forse, come lo immaginiamo, non esiterà mai.

E quindi per vivere il presente ormai ci servono dei corsi, qualcuno che ci re-insegni ad apprezzare quello che abbiamo: un pasto a tavola, una doccia calda, i bambini che ridono, e che spesso nemmeno vediamo o, se li vediamo, ci scordiamo di pensare “ma che dannata fortuna ho a vedere e sentire queste risate?”

Abbiamo la vita, ed è qui e ora: se non riusciamo a vederne il bello, non lo faremo mai, nemmeno a Manhattan, nemmeno dietro la scrivania prestigiosa che sogniamo di occupare.

Che ne dite di iniziare a provarci?

Ditemi 5 cose belle che avete, che vi rendono orgogliose e felici, sono sicura che non farete nessuna fatica a trovarle.

E poi, passo dopo passo, forse insieme troveremo tutto il bello, e lo apprezzeremo mentre lo abbiamo, non quando è volato via.

 

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