Smettiamola di discolparci

Smettiamola di discolparci e iniziamo a essere onesti: a volte facciamo proprio schifo. E non mi riferisco al tempo che passiamo al lavoro, o alle serate che ci prendiamo solo per noi, o al bisogno di dormire e alle madonne che tiriamo giù dal cielo all’ennesimo risveglio. No, per queste cose NON dobbiamo sentirci in colpa, siamo esseri umani e come esseri umani abbiamo diritto a diverse cose.

Però… però sì, a volte facciamo proprio schifo. E non abbiamo scusanti.

Quando ci chiamano e nemmeno rispondiamo perché siamo troppo presi a guardare il cellulare.

Quando sfoghiamo la nostra rabbia su di loro. Ché sì siamo umani, fragili, incasinati, stressate, stanchi, ma loro – davvero! – non hanno mica colpe. E va bene sclerare, ma poi provare a migliorare, ecco, dovremmo farlo.

Quando li chiamiamo scemo, asino, cretino, imbecille, o diciamo altre cose che li sminuiscono, beh, non abbiamo scusanti. Non si dovrebbe offendere nessuno, tanto meno i nostri figli, tanto meno delle creature che abbiamo messo al mondo noi, abbiamo deciso di crescere, perché crescerli offendendoli? Pensate che dire asino sia niente? Sia simpatico? Che vuoi che sia? No, non lo è per niente e sbagliamo, se lo facciamo.

È vero, verissimo, che ci affliggiamo con troppi sensi di colpa, ma vedo sempre più spesso genitori che con la scusa del senso di colpa fanno tutto l’opposto, perdendo di vista l’obiettivo principale, che è il benessere dei propri figli. Premesso che ognuno coi propri figli fa quello che vuole, se ci teniamo a fare del nostro meglio dovremmo anche auto-giudicarci, fermarci ogni tanto a riflettere su quello che facciamo e diciamo senza semplicemente dire che ogni genitore è perfetto per i propri figli, che gli altri non devono giudicarci…

A volte ci capita di guardare il nostro compagno sbagliare e di dirglielo, giusto? Beh, dovremmo fare lo stesso con noi stesse/i. Fermarci a riflettere se quell’urlo era necessario, se quello schiaffo era necessario, se quell’appellativo era necessario. Se dire ad un bambino “come rompi i coglioni” sia giusto, o non sia meglio pensarlo solo nella nostra testa (perché sì ragazze, li rompono! ma a noi piace sentirci dire in faccia che rompiamo i coglioni mentre magari chiediamo attenzioni?).

Siamo le prime a chiedere di essere capite: dalla società, dai nostri compagni, dai nostri genitori, dai datori di lavoro, da chiunque insomma, pure dai nostri figli. Io stessa ho detto “capitemi, stasera sono stanca, non ce la faccio a leggervi una storia”, eppure non abbiamo nessuna voglia di capire i nostri figli, di metterci in discussione.

Quando si arrabbiano urliamo ancora di più, come fosse una gara a chi urla più forte, a chi ha l’ultima parola, e poi ci diciamo che lo facciamo per educarli, giustificandoci. Ma abbiamo mai provato a cedere? A vedere che succede?

Come in ogni relazione, le parole e i gesti hanno un peso importante. Il problema è che loro sono i nostri figli e qualsiasi cosa facciamo e diciamo, a differenza di tanti adulti, torneranno sempre da noi. Un fidanzato se non viene considerato può anche scegliere di andarsene, una moglie se viene chiamata asina può anche scegliere di andarsene, un bambino? Un bambino soffre soltanto, soffre perché si aspetta solo amore da noi, non offese o sbuffi… Gli sbuffi… quante volte sbuffiamo alle richieste dei nostri figli? Provate a contarle. E provate a mettervi nei panni di chi gli sbuffi li riceve: brutto, vero?

Sì, di sensi di colpa inutili ne abbiamo tanti, tantissimi. Ma poi ci perdiamo in un bicchier d’acqua, perché in realtà abbiamo solo paura del giudizio. Ci sentiamo in colpa se lavoriamo troppo perché secondo la società lavorare troppo non sta bene. Ci sentiamo in colpa se usciamo per conto nostro perché secondo la società una brava mamma dovrebbe stare in casa coi figli.

Ma non ci sentiamo in colpa se li chiamiamo scemi o se continuiamo a guardare il cellulare invece di considerarli, perché tanto lì… non c’è nessuno a giudicarci.

A volte basta mettersi nei loro panni, per capire cosa conta davvero. E un abbraccio al posto di un urlo, durante un capriccio, è sicuramente meglio. Provare per credere.

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