Quando la settimana scorsa Macron ha parlato alla nazione, come spesso faccio ho condiviso i passaggi più importanti nelle storie del mio account Instagram, perché mi si chiede sempre “ma da voi?”.
Quel giorno non so quanti messaggi ho ricevuto del tipo “oh mio Dio, ma siete pazzi, morirete tutti, non avete capito niente, ma come farete, ma spiegatemelo” e via dicendo. Da qui – tra le altre cose – il post su Facebook in cui dicevo che mi sono rotta dei “secondo me”. Che sì un’opinione ce la possiamo avere tutti eh, ma giudicare le decisioni del capo di Stato di uno stato in cui manco si vive mi pare un po’ limite.
Ma torniamo quindi al punto principale, la riapertura delle scuole lunedì 11 maggio.
Le scuole in Francia sono chiuse da lunedì 16 marzo, dopo l’annuncio fatto giovedì 12 marzo (e anche lì, “ma cosa aspettate”, “ma che cazzata è lasciarle aperte un giorno in più” e via dicendo, mi domando perché non siano tutti statisti). Ma al tempo stesso le scuole sono rimaste sempre aperte, inizialmente per i figli del personale sanitario, poco dopo anche per i figli dei poliziotti, dei gendarmi, dei pompieri, di chi lavora nelle case di cura o presso gli anziani. Anche qui: “ma che senso ha chiudere le scuole se poi restano aperte”, non so, ma evidentemente voi lo sapete. Tra l’altro le scuole sono aperte anche nel weekend, proprio perché queste persone lavorano comunque.
Per quanto riguarda gli insegnanti, alcuni si sono fatti avanti come volontari per lavorare nelle scuole con questi bambini, anche nel weekend: è il caso della maestra di mia figlia minore. Gli altri insegnanti, invece, hanno mandato avanti la didattica coi mezzi che avevano. Niente lezioni online nel nostro caso, tantissimi compiti per la mia maggiore in quarta elementare, pochissimi per la piccola in seconda, di cui si occupa non la sua maestra ma la maestra dell’altra seconda della scuola.
Sono andate avanti col programma? No, zero.
Lo ritengo un problema? Mah, considerato che saremo tutti allo stesso livello, non mi preoccupo. Sono consapevole che gli insegnanti fanno quel che possono – spero che tutto questo svegli i Governi di molti paesi sulle carenze delle scuole, in termini di mezzi e possibilità: classi di 30 bambini e insegnanti abbandonati a loro stessi, nessuna o quasi tecnologia, pochi aggiornamenti e via dicendo – considerato che anche loro hanno figli e una casa da mandare avanti in tutto questo casino. La maestra di mia figlia maggiore ha 4 figli piccoli, per dire. Immaginate come sia facile per lei elaborare il programma per la settimana, so che in molte di voi possono farsi un’idea.
Perciò no, non mi preoccupo. Ma fin dal primo giorno ho pensato a tutti quei bambini, compagni delle mie, che non hanno nessun mezzo per seguire la didattica a distanza. Bambini che già in classe facevano fatica, dove comunque c’era un insegnante, un punto fermo, la motivazione, gli amici.
Chi mi segue sa che mia figlia minore, per esempio, è amica di due bimbe che vivono in un centro di accoglienza. Entrambe vivono in una stanza col resto della loro famiglia, in entrambi i casi sei persone in totale, in una piccola stanza e servizi in comune. A malapena gli adulti con cui vivono (fratelli maggiori in un caso, genitori nell’altro) parlano francese e hanno un telefono con cui comunicare.
Senza arrivare a casi così estremi, vi assicuro che in una scuola pubblica fatta di classi di 26, 28, 30 bambini, le disparità possono essere altissime. Una delle più care amiche di mia figlia maggiore, una bimba adorabile, festeggia il compleanno una volta ogni due anni perché vivendo in un monolocale non può farlo in casa. Pensate che abbiano un computer a cui farla lavorare? Le mie ne hanno uno a testa, entrambi regali di compleanno. E non ci fossero stati quelli, mio marito è direttore informatico, ne aveva a bizzeffe in azienda. E non avessimo avuto quelli, io ho un pc. Abbiamo due tablet. Abbiamo smartphone privati e di lavoro.
Siamo privilegiati.
Le mie figlie fanno i compiti in tempi relativamente brevi rispetto al carico di lavoro, poi leggono perché abbiamo i mezzi per avere qualsiasi libro, per accedere a contenuti online, per comprarli se serve. Guardano documentari perché siamo abbonati a qualsiasi canale possibile. Ascoltano audiolibri perché possono mettersi le cuffie e farlo. Hanno volato più di 150 volte e visitato non ricordo più quanti paesi, parlano tre lingue, torneranno a viaggiare e a riempire le loro conoscenze come hanno fatto fino adesso.
Ma gli altri bambini?
I bambini che non sono privilegiati?
E qui torniamo al punto uno, quello di riaprire le scuole l’11 maggio.
Nel suo discorso, Macron ha proprio detto questo: questa situazione ha creato delle disparità ancora più grandi, ha allargato ancora di più la voragine tra chi ha i mezzi, e chi no. E in quel momento, mi dispiace, ma a me sono venute le lacrime. Mi dispiace perché per molti sarà demagogia, ma io voglio credere che non lo sia. Perché se sono rimasta qui dieci anni è proprio per le istituzioni di questo paese. Perché sono inclusive. Perché ci provano, almeno, anche se ai francesi sembra di no, ma loro si lamentano sempre.
E quindi le scuole riapriranno, non si sa come, non si sa dove. Lo faranno progressivamente, così ha detto Macron e così ha detto l’indomani il ministro dell’educazione. Lo faranno solo in alcuni posti, non so quali, non importa. Si dice che non sarà obbligatorio mandare i figli a scuola. Si dice che a Parigi non riapriranno perché non si potrà tornare in ufficio, perché sarà impossibile prendere i mezzi pubblici e qui solo in pochi hanno l’auto, e anche prendendo l’auto, se tutti la prendessero, probabilmente si resterebbe tre ore nel traffico, come durante lo sciopero durato “solo” due mesi (e in cui molti, appunto, non sono andati a lavorare a lungo).
La domanda che mi viene posta più spesso è: le manderai?
Onestamente non lo so. Ma già posso scegliere e non è poco. Attualmente non ho le informazioni che mi servono per decidere. Non mi faccio prendere né dal panico né da altro, mancano tre settimane. Aspetto di sentire cosa mi diranno. La scuola è in teoria obbligatoria, con denuncia alle autorità se non si portano i bambini. Perciò questo è il punto uno: sarà obbligatoria? Se non lo sarà, chi andrà a scuola avanzerà col programma? Oppure servirà solo a colmare le lacune e “recuperare” i bambini di cui parlavo sopra, quelli con difficoltà personali e/o di apprendimento? Sarà mantenuta la didattica a distanza? I bambini andranno a scuola su turni, mixando quindi le ore in collettività a quelle a casa?
Chissà. Vorrei dirvi che è giusto o sbagliato, ma onestamente io non lo so, pur intendendomi abbastanza di politica. Siamo in casa dal 14 marzo, siamo usciti solo per la spesa, le notizie dicono che la gente si è comportata bene. Qui hanno chiuso tutto subito, nel giro di 3 giorni. Ma l’economia, per quanto un po’ più solida di altre, potrebbe risentirne. Soprattutto perché lo stato si è rimboccato le maniche e ha tirato fuori tanti, ma tanti soldi (ma su questo dovrei aprire un capitolo a parte, in particolare riguardo agli aiuti agli autonomi…). Perciò in qualche modo si deve ripartire.
In questi prossimi giorni sapremo qualcosa di più su chi tornerà a scuola e come.
Ma anche in quel caso, quando ne saprò di più, non credo che avrò una mia idea personale, perché è impossibile averne una. Cerco di fare quello che mi viene suggerito, perché credo che i team di esperti che lavorano a fianco di Macron, di Edouard Philippe e di Blanquer ne sappiano assai più di me sulla gestione delle pandemie.
Dite di no? E allora candidatevi, magari alla prossima crisi, grazie a voi, andrà meglio.
Nel frattempo, aspettiamo fiduciosi.
La penso proprio come te. Cerco di avere fiducia e fare come mi viene suggerito, suppongo che chi ha deciso certe linee abbia più competenze di me in questo campo. Certo è dura, ma mi bacio i gomiti perché mia figlia fa il primo anno di asilo, e insomma certi problemi non mi sono entrati in casa. È vero però, sono aumentate le disparità, tantissimo, e a parte cantare dai balconi solidarietà vera ne ho vista poca. E solo da parte di chi già aveva intrapreso un certo percorso di vita.
Credo sia proprio così.
Almeno in Francia ci provano! Giusto? Sbagliato? Penso di saperlo meno di te. In Italia è il delirio. Si parla di ripartenza (anche se io sono tornata al lavoro già da 3 settimane), ma non menzionano come far ripartire i bambini. Da 2 settimane è tornato al lavoro anche mio marito (calcola che noi eravamo in zona rossa, quindi 3 settimane di chiusura totale) e da allora, come li gestisci i bambini? Le baby sitter non si trovano…e quindi? I nonni! Che genialata eh! Abbiamo chiuso tutto, ci siamo barricati in casa e tutto per tutelare i più deboli e poi siamo costretti a lasciargli i bambini perchè non abbiamo alternative. E’ veramente una situazione assurda!
Ma che lavori fate, che siete tornati a lavorare? Per sapere eh, perché qui io non conosco NESSUNO che sia tornato a lavorare. Nemmeno i dirigenti delle aziende. Chi doveva lavorare (fisicamente) ha continuato a farlo, banche comprese per dire. Per il resto nessuna riapertura in corso d’opera.
Dimentichi che siamo italiani cara Anna…. tutti quelli che potevano trovare l’inganno alla normativa, da questa settimana sono tornati al lavoro…. non avranno lavorato sì e no per 2 settimane….perfect italian style.
In effetti quando sento di gente che lavora e che esce regolarmente… un po’ mi stupisco (ne sento tanti!). Qui non conosco nessuno, ma magari sono le mie conoscenze eh 🙂
Ma per dire in azienda da mio marito sono TUTTI in smart working da 8 settimane e lo saranno per ancora almeno un mese.