Oggi, ufficialmente, si rompe il cosiddetto confinement in Francia.
La quarantena è finita.
Da oggi possiamo andare dove ci pare, nel raggio di cento km nella propria regione. Riaprono tutti i negozi, estetiste e parrucchieri compresi. Riaprono tutti gli ambulatori medici. Si può uscire con chi ci pare, andare a trovare chi ci pare, in qualsiasi orario, senza alcuna certificazione. Resteranno chiusi bar e ristoranti e non si potranno fare eventi, sono vietati gli assembramenti di oltre dieci persone. Non esistono congiunti, qui.
Siamo liberi.
La quarantena è finita.
Eppure…
Eppure adesso non so che mi prende. Aspettavo questo momento per poter uscire, approfittare di questa bellissima città non tanto per andare per negozi (non lo facevo prima, perché dovrei cominciare?), ma per poter passeggiare, finalmente, prendere la bici e andare sulla Senna, vedere il verde degli alberi e il blu del cielo, dopo due mesi in cui ho visto il beige delle mie pareti e il bianco del muro dei dirimpettai.
E invece oggi, sarà che è lunedì, sarà che il tempo fa schifo (dopo OVVIAMENTE due mesi di estate incredibile per Parigi), ma non ho proprio voglia di uscire.
Dovrei per esempio andare alla posta. Il primo giorno di confino mi hanno lasciato un avviso (suonare troppa fatica) e poi, quando ero andata in posta, era chiusa. Dovrei ma non ho nessuna voglia, non so cosa mi aspetta, ho paura di sentirmi a disagio.
Devo andare a fare la terapia per il mal di testa, mi ha dato appuntamento alle 15.30 eppure mi sento a disagio. L’idea di restare in una stanza con un’altra persona, di presentarmi con la mascherina, di soffocare sotto di essa per mezz’ora mi mette l’ansia.
Vorrei portare finalmente le bambine fuori. Che noi viviamo in un condominio, al quarto piano, senza balcone, senza finestra sulla strada, e loro non sono MAI uscite. L’altro giorno ho detto alla piccola che oggi saremmo uscite a fare una passeggiata, e lei mi ha detto: Ooooh, mamma, finalmente! Che qui mi manca l’aria, ho bisogno di aria fresca, non se ne può più!
8 anni. Non si era mai lamentata.
Sua sorella, quando ieri il padre le ha detto domani la mamma vi porta a fare una passeggiata (che lui sì è sempre in smart working e ci resterà quasi sicuramente fino a fine giugno, ma lavora quanto lavorava prima, per gestire la crisi), ha risposto, dall’alto dei suoi 10 anni, “classe“, che in francese starebbe per “forte, figo”.
Ma vi dovessi dire che ho voglia? Avrei dovuto cucire le loro mascherine, non l’ho ancora fatto e qualcosa mi dice che non lo farò prima di stasera. Ma mai dire mai.
Dovremmo andare in biblioteca a rendere i libri e a prenderne altri ma… che ve lo dico a fare?
Potrei vedere le amiche, potrei andare a fare compagnia alla mia vicina – ma questo avrei potuto farlo anche prima, visto che non siamo mai usciti, ma lei ha 78 anni e mi sono ben guardata dal farlo per scrupolo – potrei andare a comprare la lettiera o le crocchette del gatto, potrei andare a comprare quell’ingrediente che mi manca tanto non devo fare nessuna certificazione, esco vado entro pago esco torno. Potrei andare a comprare il pane, potrei andare alla Fnac a guardare le guide (uno dei miei passatempi preferiti quando mi sento giù), potrei effettivamente controllare che la bici sia ancora funzionante e sennò richiedere i 50 euro di bonus per farla riparare.
Potrei andare a fare delle foto come le brave instagramer per testimoniare com’è Parigi alla riapertura.
Ma non farò probabilmente niente di tutto questo.
Il perché non ve lo so dire perché non l’ho ancora capito nemmeno io, ma oggi in chat con le mie amiche italiane che stanno qui ci siamo dette tutte la stessa cosa. Ma davvero dobbiamo uscire? Davvero siamo libere?
Si dice che un’abitudine prenda 3 settimane a fissarsi, forse ci siamo abituate a stare rinchiuse? Forse questo nido di calore, routine monotone e sempre uguali, non ci dispiace poi tanto? Forse senza le corse e gli obblighi sociali stiamo tutti meglio?
Sarà che qui siamo praticamente nell’unica zona rossa rimasta nel paese, con una circolazione del virus ancora attiva e gli ospedali abbastanza pieni.
Non lo so proprio.
So che quando mi chiedevano “qual è la prima cosa che farai quando potrai uscire?” non sapevo bene cosa rispondere, se non che avrei voluto vedere di nuovo la natura, respirare l’aria di un bosco, sentirne i rumori.
Allora aspetto domenica, che sarà il mio compleanno. Ho chiesto a mio marito di portarmi da qualche parte, fuori città. Prepareremo un panino, prenderemo con noi una coperta e una bottiglia di vino, e finalmente usciremo. E allora forse tutto ripartirà.
O forse ci vorrà soltanto tempo. Lo stesso che ci abbiamo messo ad adattarci a questa vita di confino.
Che la libertà, si sa, a volte fa proprio paura.
Sono uscita tre volte da quando è iniziata la fase 2. E tutte e tre le volte è stato deprimente. Io sono una mamma di quelle sempre patologicamente in movimento che se nel week end non vedo/faccio/vivo una nuova esperienza mi sento una fallita e non mi do pace. Adesso uscire mi fa sentire in trappola: fuori è un non luogo: non si può andare nei negozi (in quelli in cui si può accedere c’è la fila e quando entri senti il peso di dover fare in fretta), devi mettere la mascherina, non puoi toccare nulla, non puoi parlare e inoltre devi sforzarti di rendere la passeggiata piacevole alla tua bimba di 5 anni a cui stai stravolgendo le poche certezze. In tre passeggiate ho pianto due volte: ho bloccato gli slanci affettivi di mia figlia verso la panettiera gentile e verso una bambina in fila dietro di noi per il gelato. La questione non è dentro o fuori, ma l’inesistente senso di questo fuori. Punto sulla riapertura si parchi e oasi naturali per ritrovare un po’di pace e vedere mia figlia correre felice. P.s la scuola in quarantena: mi sarei aspettata che diventasse un ancora di salvezza per bimbi e mamme per conservare una parvenza di normalità, ma è stata la prima a svanire nel nulla a polverizzare le abitudini, le certezze e quel senso del dovere necessario alla società. C’è molto da ricostruire prima di tornare veramente ad uscire.