Da mamma in carriera a mamma lavoratrice ma serena: le mie scelte.

Ci ho messo più a scegliere il titolo che non a scrivere il post, e niente, proprio non mi viene. Forse dovrebbe essere solo “la mia vita”, non lo so.

Finalmente è un periodo tutto sommato “facile”.

Facile non nel senso che tutto fila liscio, magari!, facile perché finalmente sono riuscita a crearmi un sistema familiare a mia immagine e somiglianza, in cui tutto, per l’appunto, pare “filare”.

Non è stato semplice né indolore, e mi rendo conto che la mia situazione è molto particolare e che non può valere per tutte, prendetelo semmai come uno spunto di riflessione e non certo un “se l’ho fatto io potete farlo tutte”.

Premessa: sono sempre stata libero professionista, avvocato.

Quando ero incinta del mio primo figlio, ormai 13 anni fa, lavoravo, come spesso accade ai giovani professionisti,  come collaboratrice per uno studio legale.

Mi hanno silurato alla notizia della gravidanza con una famosa frase che ripeto spesso “una donna  o è un bravo avvocato o è una brava mamma , non può essere entrambe le cose”. Deduco avessero ritenuto che avrei scelto di essere una brava mamma. E, a distanza di anni, devo dire che avevano pure ragione (sul fatto che, alla fine, l’ago della bilancia si sarebbe rivolto più verso i figli).

Comunque, dopo essere stata silurata a circa 6 mesi di gravidanza, grazie ad un’amica (la stessa che mi avrebbe  poi raccattato un decennio dopo, quando ero praticamente in mutande con la scatola dei miei pochi averi in mano) ho subito iniziato a lavorare per un altro studio, che aveva due sedi, quindi, fino a 10 giorni dal parto, mi sono sobbarcata chilometri in auto, udienze, atti.

Alessandro è nato il 18 agosto, ho sempre lavorato da casa, e da metà novembre (3 mesi esatti, forse qualcosa prima) sono rientrata in studio. Credo fosse perché mi sentivo in debito, l’esperienza del “licenziamento” mi aveva provato più di quanto volessi ammettere.

Prendevo un fisso dignitoso ma modesto, eppure non ho esitato neanche un secondo ad assumere una baby sitter prima, e poi a cercare un nido (quando nel giro di un mese la baby sitter mi ha mollato), spendendo più di metà di quanto guadagnavo, e nemmeno ho pensato al fatto che l’altra metà andava in benzina e pasti fuori casa.

Perché? Non lo so. Tornassi indietro non lo rifarei mai e poi mai. Ho sofferto tantissimo in quel periodo, mi pesava tutto, mi pesava uscire di casa, vestire il corpo ancora appesantito dalla recente gravidanza, farmi mezz’ora di autostrada per andare al lavoro, tornare la sera alle 6 lasciando mio figlio così piccolo fuori tutte quelle ore. Eppure non mi è neanche passato per la mente “ma chi me lo fa fare?!”.

Avanti, come un automa. Forse non ero del tutto lucida, chissà.

Poi si è chiusa anche quell’esperienza lavorativa, ne è iniziata un’altra dove finalmente ero titolare, ma fino a un certo punto, perché ero con un socio che, giustamente o no, guardava le ore che facevo, quando arrivavo, quando andavo via.

Ho avuto il secondo figlio e il copione è stato lo stesso, con la differenza che son tornata al lavoro che non aveva neanche due mesi.

Di nuovo ho assunto una baby sitter, che prendeva più di quello che guadagnavo io. Era una sorta di “investimento” sul futuro, questo lo so, ma di nuovo son stata troppo ligia, alle 8.30 ero in ufficio, e uscivo alle 18. Un giorno a settimana andavo in una sede distaccata a un’ora e mezza da casa e tornavo alle 20 passate.

Poi, pian piano, ho iniziato a svegliarmi.

A capire che se uscivo alle 17.30 non cambiava niente.

E non cambiava niente neanche se uscivo alle 17,00 perché bastava essere più concentrate e perdere meno tempo in cazzate varie (quanto ne perdevo, e quanto ne perdo ancora!).

In tutti quegli anni, per risparmiare un minimo di baby sitter, il venerdì andavo dai miei, a 100 km, così tenevano i bambini e io lavoravo. Tutti i venerdì, per anni e anni, 200 km in un giorno, 800 al mese solo di queste trasferte. E quando Ale ha iniziato le elementari  andavo appena finiva scuola, quindi quei 200 km erano concentrati in 5 ore o poco più.

Poi ho iniziato ad essere troppo stanca e quindi ho iniziato ad andare ogni 15 giorni e a prendermi due venerdì pomeriggio al mese per stare a casa.

Mi sembrava un miracolo!

Da lì devo aver capito che tutto si può fare, che le mie entrate non cambiavano poi molto, che ero più serena, che ero meno esaurita.

Ho capito finalmente che essere lavoratori autonomi è uno schifo per tante cose (no malattia, no maternità a rischio –ne avrei avuto diritto con il primo figlio- , no entrate fisse, ma le spese, quelle sempre puntuali) e che quindi per sopravvivere dovevo prendermi tutti i vantaggi: non avere orari, non rendere conto a nessuno.

Mi sono presa un pezzettino alla volta, non è stato facile perché ero come soggiogata, ero succube dei giudizi e delle pretese altrui, ma comunque un pezzetto alla volta, una mezz’ora alla volta,  ho iniziato a crearmi la vita giusta per noi.

Alla fine ho chiuso anche l’esperienza dello studio associato e ora sono davvero libera.

Libera di arrivare quando voglio, di uscire quando voglio.

Da quest’anno non ho più la baby sitter, ci sono io e stop. A volte devo lavorare da casa, altre no, ed è una meraviglia poter stare con loro senza doverli cazziare se fanno rumore o se mi disturbano.

Ieri era una di quelle giornate in cui non ho lavorato da casa, ed è stato uno spettacolo: ho fatto la pizza, il pane alla zucca, abbiamo chiacchierato tanto, abbiamo letto.

Mi sono sentita così immensamente fortunata!

Non guadagno quello che guadagnano certi colleghi che hanno una montagna di lavoro, non ho chissà che prospettive future (anzi, le prospettive sono piuttosto inquietanti a dirla tutta), ma non mi interessa: ho il tempo, ed è la cosa più bella.

Se mi guardo indietro mi manca il fiato a pensare alla me di 12 anni fa, così abbattuta da non vedere che si stava infilando in un baratro da sola. Mi si spezza il cuore a pensare a tutto il tempo in cui non sono stata con i miei figli solo perché ero ottusa e sciocca e succube.

E’ un ricordo così doloroso che devo rimuoverlo, perché non c’è alternativa: è stata colpa mia, solo colpa mia, ed è una cosa che non posso riparare. Non posso tornare indietro, non posso rivivere quei giorni.

Ma posso vivermi questi, e mi li godo tutti.

Come mi godo loro, i miei figli, ormai grandi se penso che tra un anno il grande dovrà pensare alle superiori, ma ancora piccoli in fondo con i loro 9 e 12 anni. Mi godo  i loro discorsi complicati, le invenzioni, i progetti, le sfide che si presentano.

Ve l’ho detto all’inizio, la mia esperienza è particolare e non può valere per tutti, la maggior parte delle persone  ha orari che non può modificare, molte anche volendo non otterranno mai un part-time,  altre lavorano in negozio e staccano alle 20.

Abbiamo anche sempre detto che i sacrifici che si fanno i primi anni sono per il futuro: ed è verissimo, se si lascia il lavoro a 30 anni, difficilmente ci si rientra a 40, quindi ci sta che per un breve periodo lavorare “non valga la pena” ma il tutto va visto sul lungo periodo. Lasciare il lavoro (a mio personalissimo avviso) dovrebbe essere davvero l’ultima spiaggia, ma deve essere l’ultima spiaggia anche sfinirsi.

Non penso quindi che avrei dovuto mollare, penso solo che nella mia situazione avrei potuto agire diversamente, prendermi più tempo fregandomene delle occhiate altrui all’orologio, ma ero come in prigione, una prigione fatta da me, visto che potevo benissimo fregarmene dei giudizi e delle pretese altrui.

Bisogna essere lucide, se si vive malissimo il distacco, o l’organizzazione, bisogna chiedersi davvero se non ci sono alternative.

Io le avevo, ma non le vedevo, ero troppo distrutta per vederle.

Chissà, forse volevo dimostrare a quei titolari che mi hanno lasciato a casa che si sbagliavano, che potevo essere sia un bravo avvocato che una brava mamma.

E lo sono, sono un bravo avvocato, solo che lo sono nel mio piccolo.

Non sono il nome che tutti conoscono, non ho la fila fuori dalla porta, non arrivo alle 9 di sera con mille cose ancora da fare.

Magari avrò ancora tempo, magari con i figli grandi e autonomi dedicherò più tempo al lavoro, ma magari no, magari lo dedicherò a leggere, a scrivere, chissà.

Ma ora, finalmente, posso dire che  tutto è finalmente a mia immagine e somiglianza.

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9 Comments

  • Complimenti! Credo che se oggi hai raggiunto questa serenità e questi risultati sia anche merito di quelle scelte che tu definisci sbagliate, ti hanno permesso di valutare i tuoi limiti e conoscere le tue capacità, mettersi alla prova è proprio questo. Non si finisce mai di crescere, Un abbraccio forte

  • Complimenti! Credo che se oggi hai raggiunto questa serenità e questi risultati sia anche merito di quelle scelte che tu definisci sbagliate, ti hanno permesso di valutare i tuoi limiti e conoscere le tue capacità, mettersi alla prova è proprio questo. Non si finisce mai di crescere, Un abbraccio forte

  • Delle 3 sei sempre stata quella a me più “affine”
    Libera professionista, poco libera, quando ho saputo di aspettare il primo figlio stavo dando gli esami di abilitazione, eppure lavoro con la stessa persona con cui lavoravo 10 anni fa. Sono stata fortunata, non mi ha mai mollato per strada, non mi ha mai scaricato, ne con il primo ne con la seconda. Mi ha supportato, guidato, aiutato e insegnato. Come te però mi pento del poco tempo passato con i bambini dopo la loro nascita, come te per tanto tempo non ho trovato la quadra. Ora però sto crescendo, lavorativamente parlando, e inizio a sentirmi realizzata. Lavoro tanto, tantissimo, testa bassa e via andare, ma la maggior parte delle volte mi piace. Io, per ora sto scegliendo di provare ad essere una mamma “in carriera” Perché per me adesso va bene così, ma anche perché non rinuncio ad un’ora libera, se mi serve e perché adatto i miei orari a quelli dei miei bambini, perché, fortunatamente posso farlo, magari ricevo musi in cambio ma ho imparato a fare a finta di non vederli, tanto poi gli passa

  • Mi hai commossa. Ho avuto una visione della te trentenne appesantita dalle gravidanze, stanca, trafelata e con il magone sempre in gola.
    È giusto prendersi la responsabilità delle proprie scelte ma non sarei così severa: non è mica una passeggiata resistere alle pressioni esterne e fregarsene delle occhiatacce altrui.
    Sono felice che tu abbia trovato la tua dimensione, perché sono sempre più convinta che non ci sia una soluzione universale, solo soluzioni cucite addosso alle nostre vite. E quando le troviamo e abbiamo il coraggio di applicarle abbiamo fatto cappotto.
    Un abbraccio.

  • Ciao Morna,

    ho letto il tuo post e mi sono rivista molto in quello che hai scritto. Anche io sono mamma di due figli (più piccoli), faccio l’avvocato, per anni ho lavorato in grossi studi e da poco sono autonoma al 100%. Devo ancora trovare un equilibrio tra vita privata e lavoro ma ci sto lavorando!
    Concordo con te sul fatto che sia molto importante capire bene cosa si vuole dalla vita e sapersi leggere dentro. Ci sono mamme che escono alle 21.00 ma sono contente così. Si deve fare ciò che ci fa stare bene, senza paura dei giudizi e pregiudizi degli altri. Anche se non è facile.

    Complimenti per il blog.

    G.iulia

    • Grazie Giulia! Hai ragione, l’importante è capire quello che ci fa stare bene, e non è così facile, i condizionamenti sono fortissimi.
      In bocca al lupo per il tuo studio!

  • Quanto mi sono ritrovata nel tuo post, nel tuo essere “prima” (che purtroppo e’ ancora il mio essere “ora”). Il sentire che non si e’ mai abbastanza, che quello che si fa sul lavoro o le ore lavorate non siano mai abbastanza, che c’e’ una mail in piu’ a cui si sarebbe potuto rispondere, un capo da soddisfare, un collega da compiacere o a cui sembrare abbastanza devota, impegnata, concentrata. Il sentirsi sbagliata per essere troppo stanca o voler dire basta. Mi hai strappato una lacrimuccia, di quelle di gioia, nel vedere che ci puo’ essere una luce in fondo in tunnel. Grazie.

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