Lettera a mia figlia. Italia, 2020

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Ti scrivo questa lettera sperando che un giorno tu possa leggerla, da adulta, alla mia età, e farti una risata. Scandalizzarti, un pochino sì, chiederti come fosse possibile, come fosse possibile che tu avessi una mamma di quella generazione, giovane quando esistevano queste cose, e non te ne rendessi conto.

Non ti rendessi conto di vivere nel MedioEvo. La mia paura più grande, però, è che tu ti ci trovi ancora, nel MedioEvo, quando leggerai queste parole, che scrivo di getto, arrabbiata, delusa, stanca di confrontarmi con le mie coetanee, con donne che come dovrebbero battersi ogni giorno, insieme, per fare la differenza. E invece mi affossano, ci affossano.

Sai, siamo nel 2020, l’anno della pandemia mondiale: già questo dovrebbe farci credere di essere nel futuro, e invece siamo forse ai tempi della lebbra, nemmeno della spagnola che tutti si divertono a citare. Siamo indietro, tanto indietro.

Proprio ieri ho letto dei commenti che riguardavano, te la faccio molto, molto breve, il diritto all’aborto. Perché sì, interrompere una gravidanza è giudicato un diritto sancito dalla legge (legge 194, 1978), legge per la quale molte donne prima di noi, prima degli anni Settanta, hanno dato tutto. Donne che ancora oggi siedono in Parlamento e di cui nessuno forse sa nulla.

È un diritto, ma per molte mie coetanee, per giovani donne, madri, figlie, sorelle, è giudicato ancora un crimine. Perché io, donna, non ho il diritto di scegliere per il mio corpo, perché anche se la legge lo permette, la società ti ricorda che sei un’assassina.

E questa è solo la punta dell’iceberg, perché tu mi dirai: va beh, è un argomento molto caldo, mamma, ci sta che la si pensi diversamente. Già.

Ma tesoro mio, siamo nel 2020 e ancora, se mi presento a un colloquio, mi chiedono se ho figli e come penso di organizzarmi. Mentre tuo padre fa carriera scalando gradini, quegli stessi gradini per me misurano almeno 50cm in più, e capirai che salirli è talmente stancante, che a un certo punto non ce la fai più, soprattutto se ti porti sul groppone i figli, la casa, i genitori anziani. E molli, semplicemente.

Come vorrei dirti che è tutto facile, in questo 2020! Che le battaglie per togliere il LA davanti ai nomi femminili siano davvero l’ultimo passo per l’emancipazione. Macché, magari.

Mentre scrivo, mi ricordo che le donne manager, intese come dirigenti del settore privato, non arrivano al 20% del totale. Pensi che siamo meno brave? Non ti sembra, vero? Eppure è così. Mentre scrivo, mi ricordo anche che in politica non sono diverse. Certo, ora abbiamo più donne ministro – ops, ministra – ma sai la cosa buffa? Che ci piace dare loro i ministeri senza portafogli. Forte, no?

Vorrei dirti che i ruoli in famiglia sono ormai bilanciati: poco importa chi lavora di più, di meno, si trova un equilibrio e non ci si rinfaccia niente. Inutile dirti che in questi sette anni di blog, ho letto così tante donne sobbarcarsi tutta la fatica della famiglia, con o senza lavoro, che andrebbe aperto un capitolo a parte.

Cosa? Come mai non ci uniamo e ci ribelliamo, scendendo in piazza? Chi, quelle stesse donne che se non allatti ti dicono che sei una mamma di serie B, che se esci con le amiche è perché non ti interessa stare coi figli, che insomma se non fai tutto come dovrebbe fare una madre perfetta, secondo i loro canoni, allora al mondo che ci stai a fare, e ti meriti pure un uomo che ti metta le corna, e che se ne vada, o che comunque non faccia niente perché tu te la sei cercata, facendo la super donna.

Sai, tornando all’articolo di ieri, quello i cui commenti mi hanno sconvolta e che mi porta a scriverti oggi, è venuto fuori che in pratica se tu subisci un aborto, metti che sei incinta e il bambino muoia, o che tu sia costretta a interrompere la gravidanza, beh sai che fanno? Senza il tuo consenso sotterrano il feto al cimitero, col tuo nome e cognome, che si sa mai a qualcuno venga voglia di fargli visita. Hai capito? Senza il tuo consenso, il tuo nome e cognome.

Perché, dice qualcuna, tutti hanno diritto a una degna sepoltura, e tu ti devi vergognare se hai abortito. Vedi tesoro mio, a quanto pare il problema peggiore di questa generazione è l’ignoranza. Capisci perché ti faccio leggere libri, ti porto per il mondo e ti racconto le cose come stanno: perché tu sappia sempre, perché tu sappia interpretare ciò che succede intorno a te e farti un’idea di quel che succede realmente. Perché non ti fermi a un titolo senza sapere assolutamente di cosa parli. Come ti dico sempre: mai parlare con sicumera di ciò che non si conosce, mai esprimere un’opinione senza prima essersi informati realmente. Mi raccomando, ricordatelo e non fare mai come quelle che dicono a una donna che ha dovuto abortire un feto a cinque, o sei mesi di gravidanza, che in fondo deve assumersi le sue responsabilità.

Spero che quando leggerai non dovrai più scegliere tra l’essere bella e l’essere intelligente. Che nessuno ti dirà più come devi vestirti, che nessun uomo si permetterà mai più di toccarti o parlarti in un certo modo senza che tu lo voglia. Che in nessun caso, mai e poi mai, un uomo si sentirà in diritto di prevaricarti, in coppia, in strada, sul lavoro, ovunque: tu non sei da meno e meriti il rispetto che merita ogni essere umano. La donna è un essere umano, punto.

In Italia ogni due giorni viene uccisa una donna. E non da un’altra donna, non in rapine, non in regolamenti di conto: non ascoltare chi ti dice che pure gli uomini vengono uccisi. Perché le donne vengono uccise dai loro mariti, compagni, ex, padri, fratelli. Sai che una ragazza è stata uccisa dal fratello, pochi giorni fa, perché non approvava la sua scelta di coppia?

Oggi, amore mio, a seconda delle scelte che fai sei troia, sei mantenuta, sei avida, sei una mamma di merda, sei stronza, qualcuno dovrà sempre darti un’etichetta e sai chi te la dà, quest’etichetta?

Per lo più le altre donne.

Che giudicheranno tutto di te: come sei vestita, come parli, con chi esci, che lavoro fai, quanto stai in casa, come sei cresciuta, con chi stai, fino alle scelte più intime. E sai perché? Perché loro per prime sono vittime di una cosa che si chiama patriarcato, loro per prime si sentono giudicate, si paragonano alle altre, cercando approvazione. Ci hanno messo le une contro le altre, ma non dovrebbe essere così, credimi.

Tu, bambina mia, continua a testa alta. Lotta per i tuoi diritti come hanno fatto certe donne nel mondo, hai letto Malala, hai letto Persepolis, lotta come quelle donne. Leggi Simone de Beauvoir, leggi Virginia Wolf, segui le donne nel mondo che hanno il coraggio di fare la differenza e non lasciare mai che nessuno ti giudichi per le tue scelte. Non sentirti mai sbagliata perché qualcuno vuole fartelo credere, non permettere a chicchessia di dirti che non puoi farcela: tu puoi fare tutto. Quello che ti serve sono la fiducia in te stessa, la perseveranza, la passione, l’amore per te come essere umano completo, ma anche come donna.

Spero che quando leggerai il mondo sia un pochino cambiato.

Spero che quando leggerai, le donne avranno il diritto di interrompere una gravidanza, di fare politica senza il dubbio del perché sono lì, di uscire di casa da sole senza paura, di lasciare un partner senza paura. Di scegliere un partner, senza paura.

Io non so chi sarai tu, cosa farai, ma vorrei solo che la vita ti fosse più lieve di quanto lo è per noi.

Spero di averti dato le basi per essere te stessa, sempre. Comunque vada.

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