Una giornata di ordinario delirio

Lunedì mattina, scuole chiuse per “ponte”.

L’ho scoperto venerdì, quindi non ho potuto organizzarmi. Poco male, decido di andare più tardi, lasciarli un po’ da soli, poi il padre tornerà per pranzo e di lì a poco rientrerò io.

Prima di uscire controllo che compiti devono finire.

Pare poca roba, oltre a sistemare le schede e i fogli voltanti (da quest’anno anche alle elementari usano quadernoni ad anelli causa Covid).

Sì, perchè pare che il Provveditorato abbia deciso che per le maestre toccare i quaderni è pericoloso, mentre toccare i fogli ad anelli no.

Controllo e mi accorgo che il 90% di quei fogli non è mai arrivato al raccoglitore.

Giacciono per una parte (minima)  nella teca di plastica deputata allo scopo, per il resto sono appallottolati in fondo allo zaino, sparsi per casa, sulla scrivania, nel carrello porta libri suo, in quello del fratello. Insomma OVUNQUE.

Ci mettiamo a sistemarli, nel frattempo arrivano le 11.

Il grande mi dice “ah sai, per scienze devo realizzare un modellino di cellula in 3D”

Figo, per quando?

“La prossima settimana.”

Ma diosantissimo, quando pensavi di dirmelo?!

Quello resta lì perplesso, convinto anche di avermelo detto per tempo.

Gli faccio presente che deve capire e decidere come farla, con che materiali, che i materiali vanno recuperati, assemblati, ci si deve tenere un margine di tempo nel caso qualcosa andasse storto.

E soprattutto, io nel mentre, lavoro e nel week end è tutto chiuso.

Insomma, dico di prepararsi che dobbiamo andare in cartoleria.

Prima di fiondarci in cartoleria faccio partire l’asciugatrice, nel frattempo ho anche la lavastoviglie piena e un altra lavatrice da far asciugare. Calcolo i tempi e dovrei riuscire a far tutto prima di uscire per andare al lavoro nel pomeriggio.

Stiamo per uscire quando mi suona il telefono: un casino di lavoro, un cliente incazzato per qualcosa di cui non ho colpa, ma intanto mi innervosisco abbestia (più di quanto non fossi): mentre sono lì a convincerlo che questo casino non dipende da me arriva Ale e mi interrompe più volte dicendo che è tardi. Quando riattacco lo sbrano vivo: ma possibile che a 12 anni non abbia ancora capito che NON si interrompono le telefonate di lavoro??!

“ma si stava facendo tardi”: eccerto, guarda un po’, se me lo avessi detto 10 giorni fa del modellino non si sarebbe “fatto tardi”.

In cartoleria arraffiamo il necessario. Alla cassa, davanti a me, c’è una mamma che sta regalando un enorme camion dei pompieri a un quattrenne esaltato e saltellante. Costo: 28 euro.

Penso tra me e me “eh eh, costa caro avere un pomeriggio di pace”.

Tocca a me: pasta modellabile, palla di polistirolo, (ennesimo) raccoglitore ad anelli  e due penne: 36 euro.

Guardo con una certa invidia il piccolo con il suo camion che non sta in sè dalla gioia, mentre io esco con i portafoglio vuoto e due malmostosi esseri.

Arriviamo a casa che è già mezzogiorno e mezzo, metto sul fuoco una frittata.

Mi giro e c’è il tavolo sommerso dai fogli sparsi di cui sopra, da libri, penne da temperare, dal mondo insomma.

Non ho tempo nè voglia di sistemare o far sistemare, prendo tre piatti e ci sediamo a mangiare sul pavimento.

Mi ricordo dell’asciugatrice, corro in lavanderia: è ferma perché il serbatoio dell’acqua è pieno.

Insomma, tutti i miei calcoli puntigliosi vanno a farsi benedire: tornerò con le cose spiegazzate (e quindi da stirare), la lavastoviglie piena, i piatti nel lavello e un’altra lavatrice da far asciugare.

Ed è solo lunedì.

 

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