La felicità non va interrotta, un inno alle donne

Quando ho deciso che avrei scritto un romanzo l’ho fatto pensando a due temi a me molto cari. Il primo riguarda una parte importante della mia vita, qualcosa che è cresciuto con me negli anni: la Bielorussia. Se mi seguite da un po’ sapete il perché, ma ve lo spiego brevemente: dal 1995 al 2006, con la mia famiglia, ho ospitato diversi bambini per il Progetto Chernobyl.

Nel 2003 ho fatto il mio primo viaggio, con un gruppo di volontari, e da allora non mi sono più staccata dal paese, arrivando a studiarlo e a farne la mia tesi di laurea, non dimenticando mai nemmeno per un giorno quella parte di mondo a me tanto cara. Anche una volta diventata madre, ho continuato a frequentare quei posti che mi hanno insegnato che la felicità è una cosa piccola nascosta nei dettagli del quotidiano, che le persone possono essere famiglia anche senza legami di sangue e che se si apre il cuore si può ricevere soltanto amore.

Per raccontare la Bielorussia, e farlo come fosse un viaggio, per trascinare chi avrebbe letto di quelle vie da me tanto amate, dovevo anche raccontare una storia, e così ho scelto di raccontarla partendo da un altro tema che mi sta a cuore: le donne. Volevo parlare dei legami che le uniscono, delle difficoltà che ovunque, nel mondo, ognuna di noi deve affrontare ogni giorno. Le nostre piccole e grandi lotte, per affermarci, per andare avanti, per farci forza l’un l’altra, per essere felici.

Così ho dato vita ad Anna e Lena – la prima porta il mio nome, ma non sono io, proprio no, il libro non è autobiografico – due ragazze oggi trentenni che si sono conosciute da piccole, a sette anni, proprio grazie al Progetto Chernobyl. Lena, che vive con la nonna, il fratello disabile e un fratello più grande violento in un piccolo villaggio bielorusso, arriva in Italia nel 1996 come una dei tanti minori ospitati dalle nostre generose famiglie. Ad accoglierla c’è lei, Anna, che ha la sua età ma una vita completamente diversa, con due genitori amorevoli, la sicurezza economica e una stanza dei giochi tutta per sé.

Dopo la diffidenza iniziale, soprattutto di Anna che teme che Lena le ruberà l’affetto dei genitori (e i giochi), le due bambine si uniscono in un rapporto di sorellanza che va al di là delle parole, perché non parlano la stessa lingua, ma che è fatto di momenti condivisi e gesti, piccole gioie quotidiane che le uniranno per sempre. Ed è così che questa amicizia fraterna dura e arriva fino ai giorni nostri, quando le due ormai sono donne e professioniste: una fa la ricercatrice in scienze sociali a Parigi, studia la Bielorussia per liberarla dalla dittatura, ha una storia da dieci anni con un uomo sposato, anche lui ex “bambino di Chernobyl” conosciuto tanti anni prima. L’altra ha lasciato il villaggio per trasferirsi a Minsk, nella capitale, dove lavora come procuratore e cresce da sola Nastia, la figlia che ha deciso di avere sette anni prima da un uomo di passaggio.

Oggi le due amiche si ritrovano in Bielorussia per festeggiare gli ottant’anni di baba Sasha, la nonna di Lena, in un viaggio che porta, attraverso le pagine, a scoprire un paese poco noto ma tanto affascinante. Ma quando Anna atterra a Minsk, qualcosa sconvolgerà per sempre le loro esistenze e le obbligherà a rimettere in discussione tutte le relazioni, compresa la loro.

Ho scritto un romanzo sull’amore, quello tra due amiche che si trovano e ritrovano negli anni, unite come sorelle eppure senza legami di sangue, indispensabili l’una alla vita dell’altra: cosa sarebbero, oggi, se non si fossero mai incontrate? Ma anche sull’amore materno, quello delle donne che scelgono di non avere figli, come Anna, o che decidono di averne da sole, come Lena. Quelle amorevoli, come la mamma di Anna, sempre presenti, sempre perfette, o quelle tremendamente imperfette e piene di errori, come quella di Lena, che abbandona i figli piccoli per rifarsi una vita a Mosca. E poi quelle per caso, che si ritrovano in un ruolo materno che non è stato dato loro dalla natura ma dalla storia, come la nonna di Lena, che si ritrova a crescere i tre nipoti, o Liuda, l’accompagnatrice che arriva in Italia con Lena e che non lascerà più le due amiche.

Ci ho messo dentro tutto l’amore che conosco e soprattutto quello che ho conosciuto in questi anni di blog, in cui ognuna di noi si è aperta con le proprie paure e le proprie imperfezioni. Imperfezioni che poi, viste con gli occhi degli altri, sembrano sempre tutt’altro. Ci ho messo dentro le sfide che dobbiamo affrontare ogni giorno, le paure, i sogni, la voglia di essere felici e soprattutto il desiderio che chi amiamo sia felici.

Ho scritto di legami femminili perché nessuna di noi si salva da sola, eppure tutte insieme possiamo fare grandi cose.

Anni dopo, durante la malattia, mio papà mi aveva raccontato di quel giorno d’inizio estate, in cui sentendoci ridere e sentendo il rumore dell’acqua, aveva chiesto a mia mamma: «Come mai non le sgridi? Chissà che casino stanno combinando». E lei aveva risposto: «La felicità non va interrotta».

Trovate La felicità non va interrotta qui

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