Nell’ultimo periodo mi trovo spesso a fare una riflessione che riguarda il ruolo dei padri, e che non si riduce più a “dovrebbero fare di più”, “ci vuole parità” e via dicendo. Certo, tutte queste questioni restano valide, ma mi chiedo sempre di più quanto effettivamente possano fare, gli uomini, e quanto invece viene loro impedito.
E non mi riferisco soltanto al fatto che le madri, spesso, non consentono ai compagni di fare, perché “una mamma lo fa meglio”, ma proprio alla società e alle aspettative che si hanno sugli uomini, completamente diverse da quelle che si hanno sulle donne.
C’è una narrazione distorta del mondo del lavoro, sia femminile che maschile, per cui passare del tempo lavorando sia preferibile allo stare a casa coi figli o a occuparsi della casa. Questa narrazione affonda le radici nel concetto che il lavoro retribuito sia buona cosa, un valore da riconoscere a chi lo fa, mentre la cura non lo sia. Ma c’è anche un altro punto: chi sta a casa sostiene che farlo sia molto più stancante che lavorare fuori casa, e ribadisce – con riferimento agli uomini – che questi stiano al lavoro anche molte ore più del dovuto per evitare di stare a casa.
Ma detto sinceramente: davvero c’è qualcuno che preferisce lavorare dodici ore al giorno anziché fare tutt’altro, foss’anche stendere i panni?
Sulla questione che agli uomini piace così tanto stare in ufficio e non a casa mi sono interrogata molte volte, soprattutto avendo vissuto per molti anni a Parigi dove, pur con molti limiti e difetti, la parità professionale uomo-donna è una realtà più concreta rispetto a quel che si vive, per esempio, a Milano. Ho osservato nel tempo le donne che avevano raggiunto ruoli di rilievo, guadagnando quanto o più dei pari maschi: queste donne trascorrevano molto tempo al lavoro, spesso affidando la cura dei figli a persone terze, in particolare tate (donne, certo).
Anche loro preferivano stare di più in ufficio che a casa? No, io non credo, e così mi hanno sempre confermato: ma il mondo del lavoro è fatto così, se vuoi dimostrare di valere devi metterlo al primo posto, e se tu donna vuoi essere trattata come gli uomini e ricevere gli stessi soldi devi comportarti proprio come loro, sacrificando se necessario la vita personale (che attenzione: non riguarda soltanto i genitori, ma anche tutte quelle persone che non hanno figli o famiglia eppure hanno diritto ugualmente a una vita al di fuori del lavoro).
Va da sé che in una società patriarcale, in cui per anni – e spesso ancora oggi – l’uomo è considerato colui che porta i soldi a casa e su cui ricade il peso finanziario della famiglia, i nostri compagni siano cresciuti con l’idea di dover accettare tutto, di dover fare sempre di più, quanto loro richiesto, per poter mantenere il posto, eventualmente crescere e portare ancora più soldi in casa.
Mi viene spesso contestato che in realtà basterebbe volerlo, imporsi: dire ciao, io alle sei esco, oppure oggi devo stare coi miei figli, o insomma comportarsi come si comportano molte madri che spesso mettono davanti la famiglia a scapito della professione. Ma il fatto stesso che nel momento in cui noi donne pretendiamo di dare valore alla cura dei figli e della famiglia in generale veniamo poi retrocesse a mammine su cui in fondo non si può contare, dovrebbe dare la risposta a chi pensa che sia così facile: gli uomini sanno che dare spazio alla famiglia, mostrarsi in qualche modo “debole” (così viene visto chi si prende cura dei figli e ci tiene a farlo, ancor più gli uomini, ancora oggi), può avere conseguenze anche significative sulla propria carriera.
Io non penso che sia impossibile che gli uomini possano imporsi, mettere dei paletti, far sapere che vogliono occuparsi – anche loro – dei figli. Penso però che esistano molte variabili (a partire dal tipo di lavoro che si fa, dalla posizione che si occupa, passando per la stabilità economica della famiglia tutta: è più facile prendersi libertà se non si ha un mutuo da pagare, per esempio), e che proprio come per le donne, i processi di cambiamento richiedano tantissimo tempo, e che questi dipendano anche dalla persona in sé: non tutte le madri sono uguali, non tutti i padri, proprio come persone, lo sono.
C’è chi prende con più leggerezza, e non con accezione negativa, il fatto di imporsi sul lavoro dando spazio alla vita personale. C’è chi invece pensa che sia impossibile, ma lo crede veramente, e quindi accetta qualsiasi cosa. È lo stesso discorso che si fa per le donne che, schiacciate dal carico mentale, non riescono a mollare perché pensano che se lo fanno crollerà il mondo, i figli non si vestiranno, non mangeranno, non avranno materiale per la scuola, prenderanno solo 3 e non faranno più vaccini. E che loro saranno giudicate, tacciate di madri incapaci, che sarà tutta colpa loro.
Ecco, perché per gli uomini dovrebbe essere diverso? In una società che ancora si muove, seppur con dei progressi, sul binario uomo soldi / donna cura, perché gli uomini dovrebbero fare pace più facilmente con la possibilità di essere giudicati come lavoratori pigri, disinteressati o incapaci nel caso in cui non accettassero di lavorare dodici ore al giorno, di essere disponibili nel weekend, di non assentarsi mai?
Io non ho una soluzione, la mia è soltanto una riflessione. Una riflessione sul fatto che dovrebbe essere la società, quindi in primis le istituzioni, a imporre una maggiore flessibilità. A sradicare, seppur piano, il mito che l’uomo sia schiavo del lavoro e la donna schiava dei figli. Nessuno dovrebbe essere schiavo di niente, e madri e padri dovrebbero spalleggiarsi, capirsi, aprirsi l’una all’altro per trovare un punto di incontro, per sostenersi nelle proprie decisioni. Continuare a rinfacciarsi tu lavori troppo, tu hai un sacco di tempo libero non servirà a migliorare le cose, ma solo a inasprire una situazione da cui nessuno esce vincente.
Noi dobbiamo liberarci dal senso di colpa di non riuscire ad arrivare ovunque, e lo stesso vale per gli uomini. Che poi ce ne siano che sguazzano nel fancazzismo familiare è cosa nota, ma non può essere la spiegazione a tutto. Ci sono anche uomini che pensano di non avere scelta, ed è ora che ce ne rendiamo conto.
PS Leggete questa indagine sui tempi della vita quotidiana: le basi ci sono, a quando delle iniziative dello Stato per cambiare le cose?